venerdì 24 maggio 2013

Il nuovo nome del Partito Comunista dei Lavoratori Ungherese / Partido Comunista Obrero Húngaro cambia de nombre para impedir su ilegalización /To the Communist and Workers’ Parties of the world



Il nuovo nome del Partito Comunista dei Lavoratori Ungherese

Ai Partiti Comunisti e Operai del mondo

Compagni,

Il Partito Comunista dei Lavoratori Ungherese ha tenuto il suo 25° Congresso straordinario l'11 maggio 2013 a Budapest. In tale occasione abbiamo cambiato il nome del partito che d'ora in avanti si chiamerà Partito dei Lavoratori Ungherese.

Il cambiamento del nome del partito non corrisponde ad alcun cedimento politico o ideologico. Vogliamo continuare la nostra lotta contro il capitalismo apertamente piuttosto che essere costretti all'illegalità. Ecco perché il Congresso ha modificato il nome del partito, al fine di registrarsi come Partito dei Lavoratori Ungherese.

Anche se il nostro nome cambierà, non muteranno i nostri principi. Rimaniamo un partito comunista marxista-leninista in lotta contro il capitalismo.

Compagni,

Siamo stati costretti a celebrare questo congresso perché il governo ungherese ha lanciato un nuovo e gravissimo attacco al partito. Il 19 novembre dello scorso anno, il Parlamento di Budapest ha adottato una nuova legge che vieta l'uso pubblico di denominazioni legate ai "regimi autoritari del 20° secolo."

La legge è entrata in vigore il 1° gennaio di quest'anno. Secondo la Costituzione ungherese e la politica del governo attuale, con "regimi autoritari" vengono identificati il regime fascista guidato da Ferenc Szallasi in essere dal 15 ottobre 1944 fino all'aprile 1945 e il periodo di costruzione del socialismo tra il 1948 e il 1990.  Nessuna menzione alla dittatura di Miklos Horthy del 1919-1944.

Di conseguenza, nessun partito politico, azienda, organo dei mass media, via, piazza o luogo pubblico può includere "il nome delle persone che hanno giocato un ruolo di primo piano nella fondazione, sviluppo o mantenimento di regimi politici autoritari del 20° secolo, o parole ed espressioni o nomi di organizzazioni che possono essere direttamente collegate ai regimi politici autoritari del 20° secolo".

Ciò significa che dovranno essere rinominate 43 strade dedicate a Lenin, 36 in onore di Karl Marx e 6 alla Stella Rossa. Inoltre 44 vie della Liberazione, destinate in origine a ricordare l'affrancamento dell'Ungheria dal fascismo hitleriano dovrebbero essere ribattezzate. Ci sono 53 strade in memoria di Endre Ságvári, il più famoso antifascista ungherese ucciso nel 1944 dalla polizia fascista. Ora è vietato il suo nome. Non ci possono più essere strade in onore all'Esercito Popolare, al Fronte Popolare, alla Repubblica Popolare. Una delle piazze principali di Budapest, Piazza di Mosca, è stata rinominata di recente.

In effetti, l'uso pubblico di parole e categorie come "comunista", "socialista", "liberazione" e molte altre sono state rese illegali.

Perché le forze pro-capitaliste attaccano il nostro partito? E' perché l'Ungheria è in crisi. Quasi 500.000 persone sono ufficialmente registrate come disoccupate: oltre l'11 per cento della forza lavoro. Circa lo stesso numero di giovani lavorano in altri paesi dell'Unione europea, in particolare in Gran Bretagna, Austria e Germania, perché non riuscivano a trovare un posto di lavoro a casa. Nonostante ciò, il tasso di disoccupazione giovanile (sotto i 25 anni) in Ungheria risulta superiore al 28 per cento.

Il governo di Unione Civica (Fidesz) guidato dal primo ministro Viktor Orban è ben consapevole di questi fatti, mentre proclama il "miracolo ungherese". La realtà è che molte persone comuni stanno peggio di quanto non siano mai state.

Le forze pro-capitaliste in Ungheria sanno molto bene che solo il nostro partito propone una reale alternativa alla disoccupazione di massa, alla povertà e all'occupazione coloniale dell'Ungheria da parte delle multinazionali.

Sempre più persone stanno risvegliandosi e prendendo coscienza che non sono solo i governi capitalisti da biasimare per la loro situazione. E' il sistema capitalista in generale che non funziona, almeno per loro. Apprezzano il fatto che i comunisti ungheresi sono dalla parte degli operai. Il nostro partito ha accumulato un notevole capitale morale nella nostra società.

Cari compagni,

Grazie per la solidarietà mostrata alla nostra lotta. Informate i vostri militanti sulla situazione ungherese e dite loro che possono fare affidamento sui comunisti ungheresi, anche in futuro.

Fraternamente vostro
Gyula Thürmer
Presidente del Partito Comunista dei Lavoratori Ungherese

Partido Comunista Obrero Húngaro cambia de nombre para impedir su ilegalización



El Partido Comunista Obrero Húngaro realizó su 25º Congreso Extraordinario el 11 de mayo de 2013 en Budapest. Hemos cambiado el nombre del partido. Ahora nuestra organización se llama Partido Obrero Húngaro. El cambio de nombre del partido no significa ningún cambio político ni ideológico. Queremos continuar nuestra lucha contra el capitalismo abiertamente, y no ser forzados a la ilegalidad. Por esto el congreso modificó el nombre del partido para permitir su registro como Partido Obrero Húngaro. Aunque cambia nuestro nombre, nuestros principios no. Seguimos siendo un partido marxista-leninista y comunista en lucha contra el capitalismo.
Hemos sido obligados a reunir este congreso porque el gobierno húngaro lanzó un nuevo ataque, muy serio, contra el partido. El 19 de noviembre del año pasado, el parlamento en Budapest adoptó un nuevo estatuto prohibiendo el uso público de nombres conectados con los “regímenes autoritarios del siglo XX”.
Esta ley entró en vigencia el 1 de enero de este año. De acuerdo con la Constitución húngara y la política del gobierno actual, los “regímenes autoritarios” son la dictadura fascista de Ferenc Szalasi, que existió entre octubre de 1944 y abril de 1945, y todos los gobiernos de la construcción socialista entre 1948 y 1990. Notarán que no se incluye la dictadura de Miklos Horthy, de 1919 a 1944.
De acuerdo con eso, ningún partido político, compañía, medio de comunicación, calle, plaza o sitio público puede incluir el “nombre de personas que hayan jugado un papel dirigente en la fundación, desarrollo o mantenimiento de los regímenes políticos autoritarios del siglo XX, ni palabras, ni expresiones, ni nombres de organizaciones que puedan relacionarse directamente con los regímenes políticos autoritarios del siglo XX”.
Esto significa que las 43 calles Lenin, 36 calles Karl Marx y seis calles Estrella Roja han sido rebautizadas. También lo serán las 44 calles Liberación, que conmemoraban la liberación de Hungría del fascismo hitleriano, y las 53 calles Endre Sagvari, que honran al mártir antifascista más importante de Hungría, asesinado en 1944 por la policía fascista. Su nombre no se debe mencionar. Todas las calles Ejército Popular, Frente Popular y República Popular deben desaparecer. La conocida Plaza Moscú de Budapest ha sido rebautizada hace poco.
En efecto, el uso público de palabras y categorías tales como “comunista”, “socialista”, “liberación” y muchos otros se han vuelto ilegales.
¿Por qué las fuerzas pro capitalistas atacan a nuestro partido? Porque Hungría está en crisis. Casi 500 mil personas están oficialmente registradas como desempleadas, algo más del 11% del personal. Una cantidad parecida de jóvenes trabajan en otros países de la Unión Europea, principalmente Gran Bretaña, Austria y Alemania, porque no encuentran empleo en su país. Aun así, la tasa de desempleo juvenil (menores de 25 años) en Hungría está en más del 28%.
El gobierno del partido Fidesz -Unión Cívica Húngara-, dirigido por el primer ministro Viktor Orban conoce bien estos datos, mientras proclama el “milagro húngaro”. La realidad es que mucha gente del común está peor que nunca.
Las fuerzas pro capitalistas en Hungría saben muy bien que sólo nuestro partido propone una alternativa real al desempleo masivo, la pobreza y la ocupación colonial de Hungría por parte de las compañías multinacionales.
Cada vez más gente se despierta y se da cuenta que no sólo los gobiernos capitalistas son culpables de su difícil situación. Es el sistema capitalista en general que no funciona, al menos para ellos. También aprecian que los comunistas húngaros estamos al lado de los trabajadores. Nuestro partido ha acumulado un considerable capital moral en nuestra sociedad.
Agradecemos su solidaridad con nuestra lucha. Difundan la situación que vivimos en Hungría y sepan que pueden contar con los comunistas húngaros.

Traducido para SemanarioVoz.com por David Moreno
Last Updated on Friday, 17 May 2013 14:52

 
To the Communist and Workers’ Parties of the world
Comrades,
The Hungarian Communist Workers’ Party has held its 25th Extraordinary Congress 11 May 2013 in Budapest.
We have changed the name of the party. Our party will be called in the future Hungarian Workers Party.
The change of the name of the party does mean any political or ideological change. We want to continue our fight against capitalism openly, rather than be forced into illegality. That’s why the congress has modified the party's name in order to register as the Hungarian Workers Party.
Although our name will change, our principles will not. We remain a Marxist-Leninist, Communist Party fighting against capitalism.
Comrades,
We have been forced to have this congress because the Hungarian government launched a new and very serious attack on the party. On November 19 last year, the parliament in Budapest adopted a new statute banning the public use of names connected with the "authoritarian regimes of the 20th century." (See the attachment)
The law came into force on January 1 this year. According to the Hungarian Constitution and current government policy, "authoritarian regimes" mean the fascist dictatorship headed by Ferenc Szalasi, which existed from October 1944 until April 1945, and all the governments of socialist construction between 1948 and 1990. Not, you'll note, the Miklos Horthy dictatorship of 1919 to 1944.
Accordingly, no political party, company, organ of the mass media, street, square or public place can include the "name of persons who played a leading role in founding, developing or maintaining the authoritarian political regimes of the 20th century, or words and expressions or names of organisations which can be directly related to the authoritarian political regimes of the 20th century."
This means that 43 Lenin streets, 36 Karl Marx streets and six Red Star streets have been renamed. So, too, will 44 Liberation streets - named originally to celebrate the liberation of Hungary from Hitlerite fascism - and the 53 Endre Sagvari streets named in honour of Hungary's most famous anti-fascist martyr, killed in 1944 by the fascist police. His name shall not be spoken.  All the People's Army, People's Front and People's Republic streets have to go. Budapest's well-known Moscow Square has recently been renamed.
In effect, the public use of such words and categories as "communist," "socialist," "liberation" and many others have been made illegal.
Why do the pro-capitalist forces attack our party? It is because Hungary is in crisis. Almost 500,000 people are officially registered as unemployed - just over 11 per cent of the workforce.  About the same number of young people are working in other EU countries, notably Britain, Austria and Germany, because they could not find a job at home.  Even so, the rate of youth unemployment (under the age of 25) in Hungary stands at more than 28 per cent.
The Fidesz (Civic Union) government led by Prime Minister Viktor Orban is well aware of these facts, while proclaiming the "Hungarian miracle." The reality is that many ordinary people are worse off than they have ever been.
The pro-capitalist forces in Hungary know very well that only our party proposes a real alternative to mass unemployment, poverty and the colonial occupation of Hungary by multinational companies.
More and more people are waking up and realising that it is not only capitalist governments, which are to blame for their plight. It's the capitalist system in general that isn't working - at least for them.  They also appreciate that Hungary's communists are on the side of the workers. Our party has accumulated considerable moral capital in our society.
Dear Comrades,
Thank you for your solidarity in our fight. Please inform your members about the Hungarian situation and tell them that you can rely upon the Hungarian communists in the future, too.


 

martedì 21 maggio 2013

Bolivia e Stati Uniti discutono sulla procedura di uscita dell'agenzia USAID


Bolivia e Stati Uniti discutono sulla procedura di uscita dell'agenzia USAID


La Paz, 20 mag (Prensa Latina) Il governo di Bolivia e l'Ambasciata degli Stati Uniti definiranno questa settimana la procedura per la partenza dell’US Agency for International Development (USAID), espulsa dal paese dopo le accuse di cospirazione contro il governo.

Secondo quanto ha detto oggi il ministro della Presidenza, Juan Ramon
Quintana, l'ambasciata e funzionari boliviani lavoreranno nei prossimi giorni per stabilire le procedure che appoggeranno il ritiro dell’organizzazione statunitense.

"Abbiamo inviato la comunicazione ufficiale per il ritiro definitivo dell’USAID. So che questa settimana i funzionari dell'Ambasciata degli Stati Uniti stanno lavorando con il Ministero della Pianificazione per definire le procedure e le regole amministrative su cui si sosterrà il ritiro,"ha detto.

Il 1° maggio, in una cerimonia per il Giorno Internazionale dei Lavoratori, il presidente Evo Morales ha annunciato l'espulsione, dopo aver accusato l'agenzia di aver cospirato contro la sovranità e la sicurezza della nazione.

Il presidente ha incolpato l'USAID di commettere atti di cospirazione e di interferenza politica nei sindacati contadini ed in altre organizzazioni sociali per destabilizzare il suo governo, come ha fatto antecedentemente l'ambasciata della nazione settentrionale.

"Non mancano alcuni istituti dell' ambasciata statunitense che continuano cospirando contro questo processo, contro il popolo e soprattutto contro il governo nazionale e così approfittiamo del 1° maggio, per annunciare che abbiamo deciso di espellere l'USAID dalla Bolivia, l'USAID lascerà la Bolivia”, ha detto.

Morales aveva già valutato una possibile espulsione dell'Agenzia lo scorso 18 aprile, quando ha criticato un discorso del capo della diplomazia statunitense, John Kerry, che ha descritto il sub-continente latino-americano come un patio posteriore del suo paese.

"Condanniamo le dichiarazioni per considerarle irriverenti, perché ignorano la realtà dei popoli dell'America Latina", ha dichiarato il presidente.

Questo è il terzo istituto degli Stati Uniti che viene espulso dal presidente da quando è salito al potere nel gennaio del 2006.

Nel 2008, Morales ha espulso l'ambasciatore Philip Goldberg, accusato di aver cospirato con l'opposizione, e nel novembre dello stesso anno, ha chiesto il ritiro dell'agenzia anti-droga del paese nordico (DEA) per presunto spionaggio.

L'USAID lavorava in Bolivia dal 1964 e aveva fondi, strutture, flotte di automobili e spiegamento di agenti,la più grande di tutte le organizzazioni straniere esistenti in Bolivia.

Bolivia è così diventato il secondo paese al mondo che ha espulso l'USAID, preceduta dalla Russia nel mese di ottobre del 2012.

Ig/ogt/lio



LA DERECHA INTENTA RECONSTRUIR EN VENEZUELA UN FASCISMO SIMILAR AL QUE AZOTÓ A CHILE


 

LA DERECHA INTENTA RECONSTRUIR EN VENEZUELA UN FASCISMO SIMILAR AL QUE AZOTÓ A CHILE

19 DE MAYO 2013
Los medios y el empresariado apoyan este tipo de regímenes, confirmaron sobrevivientes del pinochetismo. El sociólogo Miguel Contreras asegura que se magnifica un problema real, como la inseguridad o la falta de algunos rubros alimenticios
Ante los 11 crímenes y las múltiples agresiones perpetradas por la derecha luego de que Nicolás Maduro fuese electo para la Primera Magistratura, la hipótesis del fascismo opositor cobra cada vez más vigencia en Venezuela.
La denuncia inicial fue planteada por el comandante Hugo Chávez, quien tomando como referente el caso chileno y basado en las luchas que le tocó enfrentar como líder del proceso revolucionario, advirtió que un sector de la oposición no cesaba en la búsqueda de un escenario de caos político para derrocarlo, e incluso para asesinarlo.
Un inesperado cáncer terminó en apenas dos años con la vida de Chávez, hecho que para algunos resulta sospechoso. Ahora Maduro, su sucesor, enciende nuevamente las alarmas, pues en su opinión, la derecha intenta establecer en Venezuela un régimen fascista similar al aplicado en Chile para neutralizar a Salvador Allende, con el firme propósito de frenar la continuidad de la Revolución Bolivariana.
Para conocer a profundidad la experiencia chilena, el Correo del Orinoco contactó en la ciudad de Santiago a dos periodistas, militantes de izquierda, que vivieron en carne propia el proceso de descomposición social causado por esta ideología.
La conspiración fue apoyada por EE.UU.
Manuel Cabieses Donoso, director de la Revista Punto Final, explicó que la dictadura militar en Chile fue la culminación de un largo proceso que se inició con la misma elección de Allende en 1970.
Reveló que el gobierno estadounidense, a petición de Agustín Edwards, dueño del periódico más importante de Chile y de otros negocios, dio vía libre a la CIA y otras agencias para impedir que la victoria de Allende fuese ratificada por el Congreso Pleno o que asumiera el gobierno.
El apoyo financiero de Estados Unidos al golpismo en Chile, que alcanzó a partidos, medios de comunicación y sectores militares, entre otros grupos, está consignado en documentos oficiales como el Informe Church del Senado norteamericano, detalló.
Según el testigo, “la labor de la CIA se apoyaba en sectores militares, civiles y religiosos chilenos, y principalmente en los medios de comunicación. Fracasadas las maniobras para impedir que Allende fuese ratificado por el Congreso, se inició la conspiración para derrocarlo”.
Dijo que en la conspiración y campaña de desestabilización participaron todos los sectores opositores al proyecto socialista del presidente Allende. Sin embargo, más adelante hubo sectores que se arrepintieron de haber conspirado y facilitado la entronización de una dictadura sumamente cruel.
Tal es el caso de la democracia cristiana, que jugó un rol muy importante en la conspiración y en la primera fase de la dictadura, a la cual apoyó abiertamente”, apuntó.
Transformación a sangre y fuego
Cabieses, quien permaneció en varios campos de prisioneros y posteriormente fue expulsado del país por sus ideas progresistas, sostuvo que “la dictadura militar-empresarial transformó el país a sangre y fuego”. Por esa razón se vio en la obligación de huir y luego regresar a su tierra, viviendo en clandestinidad desde 1979 hasta 1989.
Afirmó que moldeado por el neoliberalismo, el país comenzó a poner fin a las políticas de solidaridad social que lo habían caracterizado durante su historia contemporánea. No obstante, asegura que pese a haber superado la dictadura, “todavía en Chile se vive bajo ese modelo económico, social, político y cultural, organizado en 1980 mediante una Constitución que se mantiene vigente”.
Odio demencial
Un país que Cabieses conoce bien, además de su Chile natal, es Venezuela, donde vivió por varios años y además vio nacer a uno de sus hijos, lo que lo obliga a mantenerse en contacto permanente con su realidad político-social.
Con pleno conocimiento de causa, el escritor compara a Chile con la patria de Bolívar, estimando que los procesos históricos de ambas naciones son diferentes, aunque encuentra un denominador común que en cierta forma las vincula: “el odio demencial de los sectores que se oponen al necesario cambio social”, el cual cree que “es capaz de engendrar verdaderos monstruos sedientos de sangre, como lo demuestra la experiencia chilena”.
Ascenso popular impulsó el fascismo
La toma de conciencia y el ascenso político organizado de la clase obrera, así como de campesinos y estudiantes que empezaron a aumentar sus demandas, provocando primero la inquietud y, luego el temor de la oligarquía que vio amenazada su situación de privilegio, impulsaron en cierta medida la instalación del régimen fascista en Chile, expresó Manuel
Salazar Salvo, escritor y columnista de la revista Punto Final.
Indicó que la oligarquía organizó su resistencia a través de los gremios profesionales, el empresariado, el comercio y el transporte. Además, dispuso de una gran cantidad de medios de comunicación y de ingentes recursos económicos para financiar paros y protestas.
Entre las principales acciones desestabilizadoras, destacó que “un pequeño grupo denominado Patria y Libertad, en connivencia con algunos miembros de las Fuerzas Armadas, realizó pequeñas operaciones de sabotaje para incrementar la sensación de caos y desorden” que finalmente provocaron el derrocamiento de Allende.
Desaparición del tejido social
A juicio del periodista chileno, la dictadura militar y sus colaboradores civiles de la oligarquía modificaron completamente la estructura política e institucional del país para imponer un nuevo modelo de desarrollo inspirado en las doctrinas neoliberales.
Instalaron una nueva Constitución y decretaron cientos de leyes que cambiaron la educación, la salud, la previsión social, las leyes laborales, los colegios profesionales, los sindicatos, los códigos de agua, de minería y toda la estructura productiva. Privatizaron, además, la enorme mayoría de las empresas que estaban en manos del Estado”, describió.
Salazar relató que los primeros años de la dictadura de Augusto Pinochet fueron de “terror, opresión, impotencia, desconfianza, abusos y explotación”. Más tarde provocaron la desaparición del tejido social que había costado décadas construir.
Narró que todos los partidos y movimientos de izquierda fueron reprimidos violentamente. Primero los militares trataron de exterminar físicamente a los miembros del Dispositivo de Seguridad Presidencial (DSP), mejor conocido como GAP (Grupo de Amigos de Allende), que estaba integrado por miembros del aparato militar del Partido Socialista, quienes a su vez formaron parte del Ejército de Liberación Nacional (ELN) que trató de combatir junto al Che Guevara en Bolivia.
Muchos de ellos fueron detenidos, asesinados y hechos desaparecer. Luego la represión se dirigió en contra del Movimiento de Izquierda Revolucionario (MIR), de origen castrista. Le siguieron el Partido Socialista, el Movimiento Reacción Popular Unitario (MAPU) y, finalmente el Partido Comunista. Luego, entre 1973 y 1976 se eliminaron físicamente a los mejores cuadros de la izquierda chilena”, aseveró.
Por si fuera poco, a ese listado también habría que añadir las decenas, o quizás cientos de miles de personas que fueron detenidas entre 1973 y 1990, primero en la represión directa y luego en la represión selectiva y/o masiva para impedir la disidencia, precisó el comunicador.
Clase media molesta
Para el escritor, resulta verdaderamente inquietante “el poder que nuevamente ha acumulado la oligarquía y los grupos dominantes de la sociedad chilena, que se niegan a todos los cambios sociales en beneficio de las mayorías”.
Acentuó que de los años 80 en adelante “ha habido una creciente desigualdad, donde los ricos son cada vez más ricos y la enorme mayoría de la población sigue viviendo como lo hacía a mediados de 1970”.
Para que Venezuela no pase por una situación similar, Salazar sugiere al gobierno de Maduro proteger los canales de abastecimiento de la población, resguardar los servicios básicos, impedir a como dé lugar el mercado negro y cuidar el transporte público y de productos básicos.
Recordó que como parte de la campaña fascista, en Chile la oligarquía acaparó los alimentos, disminuyó la producción de pollo, leche, cigarrillos, harina, aceite, bebidas e incluso productos como el jabón, las toallas sanitarias y los dentífricos, entre otros.
Ahí se inició la molestia de la clase media que durante la Unidad Popular vio crecer sus ingresos, pero que ahora no podía adquirir los productos que demandaba. Por ahí pasa, inicialmente, el riesgo de la estabilidad venezolana”, puntualizó.
Emocionalidad e irracionalidad
Consultado por el Correo del Orinoco, el sociólogo venezolano, Miguel Ángel Contreras, explicó que el fascismo fue una respuesta a la primera gran guerra europea suscitada entre 1914-1919, que involucró a todos los países de la región.
Regularmente uno tiende a asociar el fascismo con Mussolini e Italia, pero históricamente es un fenómeno que se da en toda Europa a consecuencia de la disolución de los tres tipos de ideologías fundantes de la modernidad, que son el conservadurismo, el socialismo y el liberalismo”, manifestó.
Recordó que aunque en Latinoamérica el ejemplo emblemático del fascismo lo representó Chile, también está la experiencia de Brasil, Paraguay, Uruguay y Argentina. “En el caso de Chile, el régimen de Pinochet yo lo caractericé como neoliberalismo disciplinario en una sociedad profundamente autoritaria. En Argentina, la situación se dio a través de Las Malvinas, donde hubo claramente un uso de la emocionalidad para fines de legitimidad política”, ratificó.
Según Contreras, quien también se desempeña como catedrático en la Universidad Central de Venezuela (UCV), “una sociedad fascista es aquella donde se establecen relaciones muy claras entre la emocionalidad y la irracionalidad”.
Enfatizó que el fascismo maneja una visión seudoemocional en una realidad no objetiva, pero su característica central parte del establecimiento de una relación jerárquica de poder.
Los que hacen uso del fascismo no están interpretando una realidad objetiva, sino que están partiendo de una realidad no objetiva construida por ellos, que es una visión seudoemocional”, sentenció.
Polarización falsa
Con respecto a Venezuela, el analista resaltó que la estrategia que se está utilizando ahora busca minimizar las capacidades intelectuales del presidente Nicolás Maduro y enaltecer intelectualmente la figura de Henrique Capriles Radonski, en una polarización que funciona como un eje entre lo bueno y lo malo.
Se minimiza por un lado a Maduro y se enaltece por el otro a Capriles y ese enaltecimiento pasa por atribuirle al excandidato características que no tiene”, resaltó Contreras.
Alertó que mediante la estrategia fascista también se intenta convertir al Gobierno y a sus dirigentes en la causa de todos los males, tomando en cuenta problemáticas reales como la inseguridad y el desabastecimiento de alimentos.
Desde el punto de vista psicoanalítico se puede decir que hay una descarga de deseos, de lo que la gente piensa en un momento determinado, que es dirigida a una figura indeseable que, en este caso, es el presidente Nicolás Maduro y, mientras aquí se construye una polaridad sin luz, del otro lado se construye una con luz y se habla de las soluciones a los problemas”, ejemplificó.
Manifestó que esta estrategia, que es progresiva y que puede ir debilitando al gobierno, se hace desde distintos espacios como las redes sociales en internet y la prensa nacional e internacional, “cambiando el sentido del sentido común”.
Explicó, en ese sentido, que partiendo de un problema real, como es el caso de la inseguridad o la falta de algunos productos, se hace una magnificación del mismo y se crea una situación seudoemocional para dirigir todos estos problemas hacia una figura definida negativamente.
Los medios no crean la realidad
Contreras señaló que inicialmente, esa campaña fue promovida por el diario El Nacional contra el presidente Hugo Chávez, a través de varias líneas argumentales como el editorial y los artículos de opinión, mediante las cuales “se pretendía ofrecer una visión de pluralidad de personas y figuras que se expresaban de una misma manera con respecto a una realidad construida”.
Ahora se ha sumado a Maduro a la campaña de desprestigio y desde esa óptica ambos son vistos bajo un denominador común, que es el totalitarismo, por eso, “al intentar asociarlos con ese tema, se crea la vinculación con el nazismo, que es un régimen negativo para todo el mundo”, fustigó.
El sociólogo recordó que a lo largo de la historia ha habido una campaña de socialización sobre la segunda guerra mundial que se ha visto reforzada con la construcción hecha por Hollywood, la cual ha servido de colofón al argumento fascista.
A su criterio, los medios no crean la realidad, sino que potencian elementos que están dentro de ella. Entonces, cuando se analiza a fondo el tema de la inseguridad, por ejemplo, nos encontramos con que hay un índice de percepción y un indicativo real del problema.
La percepción de la inseguridad tiene que ver con la cultura del miedo creada por los medios. Se le asocia directamente con la oscuridad, a la cual percibimos como algo peligroso porque hay una geografía imaginaria creada sobre eso”, discriminó el investigador.
Correo del Orinoco
T/ Héctor Escalante
F/ Héctor Lozano-Cortesía Revista Punto Final
Caracas
 dos imagines integradas da autore blog


lunedì 20 maggio 2013

Ricordiamo l’ 85° compleanno di Masetti,  fondatore di Prensa Latina.


Ricordiamo l’ 85° compleanno di Masetti, 

 fondatore di Prensa Latina.

Documento redatto da “GIN “ gianfranco Ginestri

L’ amico  del “Che”, JORGE RICARDO MASETTI BLANCO, (i cui nonni paterni nonno Giorgio Masetti e nonna Angela Solari erano emigrati da Bologna a Buenos Aires dopo l’Unità d’Italia)) nacque il 31 maggio 1929 nel Municipio di Avellaneda (situato nella periferia sud della capitale argentina) che allora era abitato prevalentemente da emigrati italiani. (Si ricorda che in Argentina il 50% degli abitanti è di origine italiana) … Masetti è scomparso all’età di 34 anni, il 21 aprile 1964, sui monti della Selva di Oran, a Salta, in Argentina, al confine con la Bolivia.
Jorge Ricardo Masetti Blanco era il secondo di tre figli di Josè Reinardo Masetti e di Ana Maria Blanco… Reinardo era il fratello maggiore ed Edgardo quello minore, (nomi terminanti in “ardo”). In casa loro si parlava l’italiano paterno e lo spagnolo materno.
La conoscenza della lingua italiana gli fu utile quando egli volle “clandestinizzarsi” usando un documento plastificato autoprodotto (con la sua foto) intestato a < Giorgio Solari, rappresentante di libri della Antica Libreria Nanni di Bologna > (usando il nome del nonno e il cognome della nonna: leggi qui sopra) … [ Fonte: vedere sia a pagina 51 del libro cubano su Masetti del 2012: “El Comandante Segundo”, e sia l’inizio del Capitolo 13° del suo libro argentino dal titolo “Los que luchan y los que lloran”, riedito varie volte, ma scaricabile anche gratuitamente tramite Google ].
Masetti frequentò le elementari e le medie presso i preti salesiani. A 13 anni, nel 1942, si iscrisse alla Scuola di Stampa e Pubblicità, e a 15 anni, nel 1944, venne assunto per tre anni come apprendista praticante nel quotidiano di Buenos Aires “El Laborista”, dove suo fratello maggiore Reinaldo era già giornalista professionista.
Nel biennio 1947-48 scrive articoli per giornali e per radio di Buenos Aires… Nel 1949-50 svolge il servizio militare nella Marina… Nel 1951 si fidanza con Celia Dora Jury, e nel 1952 i due giovani si sposano 22enni; (avranno due figli: Graciela e Jorge).
Nel 1953 (anno dell’assalto castrista alla caserma Moncada di Santiago de Cuba) Masetti lavora per vari media di Buenos Aires.
Nel 1954 (mentre Fidel è nella prigione cubana dell’Isola dei Pini) Masetti lavora per la peronista Agencia Latina de Noticias.
Nel 1955 (mentre Fidel giunge in Messico per progettare la liberazione di Cuba e la cacciata del dittatore Batista) Masetti milita nella organizzazione politica antimperialista peronista ALN (Alianza Libertadora Nacionalista).
Nel 1956 (anno della traversata del Granma dal Messico a Cuba) Masetti lavora alla Radio El Mundo, di Buenos Aires.
Nel 1957 (anno delle prime vittoriose battaglie castriste nella Sierra Maestra dell’Oriente Cubano) Masetti diventa direttore della Sezione Politica Internazionale di Radio El Mundo.
Nel 1958 (quando sulla Sierra Maestra il “comandante in capo” Fidel Castro Alejandro Ruz, giovane avvocato cubano nato nel 1926, nomina “comandante” Ernesto Che Guevara de la Serna, giovane medico argentino nato nel 1928) Masetti decide di andarli ad intervistare…    Il 22 marzo 1958 arriva all’aeroporto dell’Avana, e il 9 aprile 1958 vola a Santiago de Cuba… Pochi giorni dopo, grazie all’aiuto della giovane partigiana santiaghera Vilma Espin (futura moglie di Raul Castro) riesce ad intervistare Che e Fidel.
Dopo la fuga del dittatore Batista, il Primo Gennaio 1959, la Revoluciòn Cubana trionfa e Che Guevara chiama urgentemente all’Avana il giornalista Masetti, il quale vi giunge il 9 gennaio sullo stesso aereo che ospitava anche genitori e parenti del Che… Guevara propone  a Masetti di fondare e dirigere un agenzia giornalistica cubana, che il Che chiama “Prensa Latina”. Masetti inizia a progettarla il 18 aprile 1959 e viene inaugurata il 7 giugno. Tra i numerosi cofondatori c’è pure il giovane scrittore colombiano Gabriel Garcia Marquez.       La sede di “Prensa Latina” nasce al 5° piano dell’ Edificio Retiro Medico, ubicato in Calle 23, angolo Calle N, nella popolare Zona Rampa del Vedado Avanero. (Attualmente è in Calle E n. 454, all’angolo con la Calle 19).
Nell’estate 1959, nella nuovissima sede di “Prensa Latina”, al Direttore Generale Jorge Ricardo Masetti Blanco viene assegnata una segretaria cubana di nome Concepcion Dumois Sotorrio, detta Conchita. I due si innamorano. Masetti divorzia dalla moglie argentina e nel 1960 sposa Conchita; lui ha 30 anni e lei 23. Vanno ad abitare nel vicino grattacielo chiamato Edificio Focsa. (Avranno una figlia 4 anni dopo)… Masetti è un direttore indefesso e un giornalista appassionato: lavora 18 ore al giorno, mentre gli altri colleghi si limitano ai turni sindacali di 6 ore.
Nel 1959-60 Masetti crea dentro alla agenzia giornalistica cubana “Prensa Latina” una sorta di “escuela periodistica revolucionaria” le cui regole sono le seguenti: “Rapidità, Precisione, Concisione, Non usare mai le parole inutili e le aggettivazioni pompose, Verificare sempre personalmente e mai fidarsi del sentito dire, Essere obiettivi ma non imparziali, dato che non si può essere imparziali tra il bene e il male”.
Nel 1960 “Prensa Latina” ha varie sedi con corrispondenti in tutti i continenti, e ogni tanto Masetti le va naturalmente a visitare… Ama recarsi a Praga perché in Via Parizka vi è la sede internazionale dei giornalisti progressisti, e ad Algeri dove i cubani stanno aiutando i patrioti a liberarsi dal colonialismo francese. Nelle due città Masetti incontra spesso un giornalista dell’Unità, Dante Cruicchi, bolognese, con il quale diventa amico… [[ Fonte: alla fine del secolo scorso Dante Cruicchi riferì a Gianfranco Ginestri che Masetti gli disse di avere alcuni parenti, di cognome Masetti e Solari, nel Borgo Panigale di Bologna ]].
Il 17 aprile 1961 Masetti partecipa alla difesa della Baia dei Porci, dopo l’invasione di 1.500 mercenari della Cia, sconfitti e catturati.
Il 2 novembre 1962 nasce all’Avana Laura Masetti Dumois… Dopo poche settimane, il
27 novembre 1962, su ordine del Che, dopo essersi dimesso da “Prensa Latina”, Masetti parte da Cuba e si reca in Argentina clandestinamente per dare vita ad un gruppo guerrigliero. Il nuovo nome di Masetti è “Comandante Segundo”, perché il “Comandante Primero”, in futuro, sarà Che Guevara…  Nel primo gruppetto di Masetti c’è anche Alberto Castellanos  (che prima era stato l’autista del Che, e attualmente vive a Cuba). Il 6 marzo 1964 Castellanos viene arrestato con un falso nome (Raul Moises Davila Sueyro, studente universitario peruviano);  a Salta viene a sapere che il Che è stato assassinato in Bolivia;  poi viene liberato il 14 dicembre 1968, e quindi torna all’Avana.
Masetti, il 21 aprile 1964, braccato dalla Cia, si nasconde nella Selva di Oran, al confine con la Bolivia. Il suo corpo non è mai stato ritrovato… Nel 2014 sarà ricordato in occasione del 50° anniversario della sua scomparsa, e dell’85° della sua nascita.

Il famoso libro di 80 pagine scritto da Masetti dal titolo 
 
Los que luchan y los que lloran”, si scarica 
gratuitamente qui:


venerdì 17 maggio 2013

La coppa UEFA Under 21 si giocherà in città sorte in gran parte su villaggi palestinesi distrutti nella Nakba del 1948



La coppa UEFA Under 21 si giocherà in città sorte in gran parte su villaggi palestinesi distrutti nella Nakba del 1948


A cura di Cartellino Rosso all'Apartheid Israeliana / BDS Italia | bdsitalia.org

I villaggi palestinesi distrutti tra il '47 e il '48, e cancellati dalla faccia della terra, in quella che è chiamata la Nakba (catastrofe), furono 532: gli abitanti, 750.000 ma secondo alcune fonti 900.000 furono cacciati con la forza o uccisi.[1]

I prossimi campionati EUFA Under 21 si svolgeranno in quattro città, Gerusalemme, Tel Aviv, Nethania e Petah Tikva, che in parte sono state costruite o si sono estese al di sopra dei villaggi distrutti.

Prima di presentare la ricognizione dei villaggi distrutti sulle cui fondamenta oggi sorgono le quattro città, o loro parti, che ospiteranno i giuochi, presentiamo una sintesi di uno scritto di Gideon Levy, che così titola il suo racconto sui villaggi palestinesi distrutti e nascosti sotto Tel Aviv.[2]

"La nostra amata Tel Aviv, la cui reputazione di città illuminata ed aperta è famosa nel mondo è costruita in parte sulle rovine dei villaggi palestinesi - e rifiuta di riconoscerlo".

Uno dei corsi più importanti, e più orrendi, di Tel Aviv, il Jerusalem Boulevard di Tel Aviv-Jaffa, una volta si chiamava Jamal Pashà Boulevard e poi Al Nazha Bouleward. Le strade di questa città che una volta era araba e ora è mista, portano nomi di rabbini, i vecchi nomi arabi sono quasi scomparsi e al posto dei villaggi ora ci sono quartieri ebrei.

Kfar Shalem, una volta Salama, dove il passato fa capolino tra le torri di nuovi appartamenti e vecchie case, svuotate dai loro originari abitanti. Qui vivevano circa 7.800 persone, ancora si vede una moschea abbandonata il cui ingresso è sbarrato su ogni lato. Sopra quello che era un cimitero, tra antichi eucalipti, ora ci sono un parco giochi ed un giardino pubblico.

La vecchia casa del MUkhtar, l'anziano del villaggio, è ancora in piedi, ma solo le verande sono ancora di costruzione araba, tutto il resto sono aggiunte, come molte altre case del quartiere che vennero invase. In una vecchia scuola del villaggio oggi vi è un istituto di riabilitazione. La torre di appartamenti che oggi cresce sul perimetro dell'ex villaggio si chiama "Tel Avivi - il vostro angolino di paradiso in città".

A Nordovest di qui c'era il quartiere di Al Manshyya: nel 48 vi abitavano 12.000 residenti, tutti Palestinesi, sia cristiani che musulmani, e vi erano 20 caffè, 14 falegnamerie, 12 panifici, 10 lavanderie, 4 scuole, 3 negozi di biciclette, 3 farmacie e 4 moschee. Tutto è stato distrutto e raso al suolo, solo la moschea di Hassan Bek, il l'Etzel Museum e la stazione rimangono ancora in piedi. Ora vi è un parco, Gan Hakovshim (Parco dei conquistatori): poco più in là si elevano le torri della City di Tel Aviv. Una volta, le vecchie case si estendevano fino al mare….., chissà come apparirebbe questa zona se le persone che hanno vissuto qui e le loro famiglie potessero tornare.

La stazione ferroviaria è oggi il principale luogo di ritrovo yuppie di Tal Aviv, conosciuto come Hatahana. Alle pareti dei magnifici edifici restaurati sono appese vecchie foto che raccontano dei Turchi e dei Templari, che sono stati qui, non una parola sui Palestinesi. Eppure, in queste fotografie, si possono riconoscere le vecchia case affollate del quartiere di Al-Mahta, dove vivevano gli arabi.

Subito a nord, Mitham Semel, cioè la vecchia Summayl, 190 case prima del '48, campi coltivati e alberi di agrumi, una scuola (distrutta), un cimitero (distrutto), e la tomba dello sceicco (distrutta). Oggi vi si trovano invece Migdal Ham'mea, gli edifici della federazione dei lavoratori Hisdadrut, la scuola superiore ebraica di Herzliya e la sinagoga Heichal Yehuda. Sulla scogliera, dove una volta era il nucleo del villaggio, un mucchio di case ad un piano, il cui passato è stato cancellato, ed il futuro incerto, perché le vecchie case degli arabi si sono trasformate in controversie immobiliari dei nuovi venuti.

A Nordovest di qui, non lontano dalla lussuosa Akirov Tawers, tra la vegetazione ci sono i resti del villaggo di Jamassin: oggi, tra le altre cose, funge da cimitero delle automobili, - innumerevoli automobili scassate giacciono tra i rovi e le canne. Sulle vecchie case arabe sono cresciute le nuove case di Tel Aviv, recintate e circondate da giardini, e con una marea di cartelli, che qui, come altrove, invitano perentoriamente ad allontanarsi. Una volta vi abitavano centinaia di palestinesi, che a differenza degli abitanti degli altri villaggi distrutti, non si sa dove siano andati.

Infine si arriva a Shaykh Muwannis, oggi Ramat Aviv, dove, al posto della vecchia vasca di irrigazione di Paresiya e della terra coltivata sorgono oggi la casa, il giardino e la piscina dello stesso Gydeon Levy, che su questo molto ha scritto, e che è tra i pochi israeliani che con coraggio cercano di riscoprire la vera storia della Palestina.

Al posto del villaggio scomparso di Khayriyya, che significa "La benedizione della terra, oggi esiste la discarica di Tel Aviv.

Le città di oggi, dove si svolgeranno i giochi, e i villaggi distrutti

Tel Aviv

I giochi si svolgeranno nello stadio BLOOMFIELD già BASA, dal quale è stato espulso il club palestinese Shabab el-Arab nel 1948. Come stadio di riserva, sempre a Tel Aviv, è stato individuato RAMAT GAN. Gli stadi ricoprono i terreni sequestrati, in base alla legge sulle proprietà degli "assenti", ad abitanti dei villaggi palestinesi di Jarisha e al-Jammasin al-Sharqi. Di seguito alcune notizie sui villaggi distrutti e sottostanti Tel Aviv.

Jarisha, era un piccolo villaggio, circondato da terre coltivate ad agrumi, che è stato completamente distrutto e ripulito dai suoi 220 abitanti. L'operazione di pulizia etnica avvenne il 1° maggio 1948, ad opera della banda dell'Irgun Zwai Leumi, nonostante fosse stata concordata una tregua. Ora è ricoperto completamente da sopraelevate e case di periferia.

Al-Jamassin. In realtà qui vi erano due villaggi gemelli, situati pochi Km a nord di Giaffa: Al-Jammasin al Sharkqi e Al-Jammasin al Gharbi, entrambi occupati e distrutti il 17 marzo del 1948, con l'eccezione di poche case che furono poi riempite da coloni ebrei. Nel dicembre del 1947, o forse nel gennaio successivo, i maggiorenti del due villaggi avevano avuto un incontro, unitamente ai rappresentanti di Shaykh al Muwannis, al-Mas'udiyya, e ai mukhtar di Arab Abu Kishk e Ijlil, con alcuni rappresentanti dell'Haganah nella casa di Avraham Schapira a Petah Tikwa. Qui avevano espresso la propria volontà di pace, assicurando che non avrebbero permesso lo stanziamento di truppe e milizie arabe nei loro villaggi. Ma le bande dell'Haganah non rispettarono il patto e tutti i villaggi subirono la distruzione e la pulizia etnica.

Al-Jammasin Al Gharbi, era un villaggio di 1253 abitanti, discendenti di nomadi provenienti dalla valle del Giordano, per la maggior parte agricoltori che coltivavano piantagioni di agrumi e cereali.

Al-Jammasin al Sharkqi, era un villaggio di 847 abitanti, che coltivavano agrumi e cereali. Anch'essi provenivano dalla valle del Giordano.

I vecchi villaggi di Al-Jammasin e parte della loro terra, sono occupati dalla Municipalità di Tel Aviv, da edifici della sua Università e dal quartiere baraccopoli di Givat Amal. Alcune case tipiche arabe risparmiate e occupate da famiglie ebree, sono ora inglobate nella grande Tel Aviv. Dove siano finiti gli abitanti, non si sa.

Al-Shaykh Muwannis. Nel 1948 contava 2,239 abitanti, che coltivavano una terra fertile quasi completamente occupata da piantagioni di agrumi e cerali. Sull'antico cimitero palestinese oggi sorgono i nuovi dormitori della Università di Tel Aviv.

Il villaggio fu occupato e quasi completamente distrutto dalle gang della Irgun Zwat Leumi il 30 marzo del 1948. Anche questo villaggio aveva partecipato alla trattativa e all'accordo con l'Haganah con i villaggi di al-Jammasin, ma furono tutti traditi. Anche gli abitanti di Al Shaykh Muwannis furono costretti a fuggire nel terrore dopo che l'Haganah aveva rapito i cinque leader del villaggio.

Nella grande Tel Aviv, che lo ricopre, sono ancora riconoscibili alcune delle vecchie case arabe di varia architettura, ora occupate da ebrei.

Salama. Nel 1948 contava 7.800 persone. La terra era quasi tutta coltivata con piantagioni di agrumi, ulivi, e cereali. Ora è completamente ricoperta dalla città di Tel Aviv. Fu occupata nel corso dell'operazione Chametz, condotta dalla famigerata brigata Alexandroni, il 25 aprile del 1948. Gli abitanti dopo una breve resistenza furono costretti a fuggire, e la cittadina fu completamente distrutta con l'eccezione di dieci case e delle scuole.

Summayl. Nel 1948 contava 190 abitanti. Nei primi del ‘900 fu rinominato al-Mas'udiyya ed ora è completamente ricoperto dalla città di Tel Aviv. Fu occupato il 25 dicembre del 1948 dalle truppe dell'Haganah. Inizialmente gli abitanti cercarono rifugio nel vicino villaggio di Jammasin, ma poi dovettero fuggire anche da quello. Da principio vi era stato un accordo di pace con l'Haganah, che però non lo rispettò ed il villaggio fu completamente distrutto, tranne una casa che restò deserta, mentre il nucleo storico vicino al mare fu trasformato per residenti ebrei.

Netanya

Sotto la città di Netanya, ci sono due villaggi, quello di Umm Khalid e quello di Bayyarat Hannoun, entrambi a distanza di circa 15 Km da Tulkarem.

Umm Khalid, 1125 abitanti nel '48, era situato su una collina di arenaria a distanza di soli 2 Km dal mar Mediterraneo. Resti di pietra focaia, trovati nei dintorni, fanno pensare che fosse abitato fin dai tempi preistorici. Tra i siti archeologici, vi era il Castello Lombardo di Rogers, costruito dai Criociati. Um Khalid, noto anche, per il suo clima mite, come luogo di riposo e di vacanza, era un villaggio molto fiorente circondato da coltivazioni ed alberi da frutta, irrigati da una ricca falda idrica sotterranea. Le case in pietra erano costruite attorno alla moschea, ad una scuola elementare e a quattro negozi di alimentari e tessuti.

Um Khalil fu pressochè raso al suolo, dopo che la popolazione venne terrorizzata e costretta a fuggire, il 28 marzo 1948. Stessa sorte toccò ad altri villaggi vicini. Quest'area era già stata presa da varie colonie ebree, ed era considerata dai sionisti come il cuore del futuro stato ebraico.

Le poche case rimaste in piedi sono ora usate come abitazioni da coloni ebrei o per scopi commerciali. I terreni sono coltivati con agrumi.

I giochi si svolgeranno nel Netanya Stadium, che incombe sull'unico edificio rimasto del villaggio palestinese di Bayyarat Hannun, non molto lontano dalla costa. Il 31 marzo 1948, il villaggio, è stato quasi completamente distrutto e ripulito col terrore dai suoi abitanti, nell'ambito dell'operazione Coastal Clearing (Ripulitura della costa). Ciò che resta è una casa a due piani, vuota e deserta. Dove siano andati i suoi abitanti non si sa.

Petah Tikva

La città si è estesa fino a ricoprire totalmente la terra e quello che una volta era il villaggio di Fajja, 1400 abitanti, sorto su antichi resti archeologici che, prima della distruzione erano ancora visibili. Il 17 febbraio del 1948 le bande terroristiche dell'Haganà e dell'Irgun terrorizzarono gli abitanti costringendoli a fuggire. La pulizia etnica fu completata il 15 maggio. Il villaggio venne completamente distrutto tranne una casa. I giochi si svolgeranno nello stadio HaMoshava

Gerusalemme

40, furono i villaggi distrutti, e sottoposti a pulizia etnica: su di essi si è espansa la grande Gerusalemme.

Nell'aprile del '48, truppe e bande sioniste attaccarono la città. Il 9 aprile ci fu il massacro di Deir Yassin: il villaggio fu completamente distrutto e gli abitanti massacrati. Alla fine i morti erano oltre 100. Tale massacro sparse il terrore negli altri villaggi ed iniziò la fuga. Il 14 maggio la parte nuova di Gerusalemme fu occupata, mentre 40 villaggi ad ovest della città furono in parte distrutti, e ripuliti di tutti i loro abitanti. Più di 90.000 persone, che abitavano Gerusalemme e i villaggi confinanti persero tutti loro averi e il diritto di vivere nelle loro case. Il 7 giugno 1967, le forze militari israeliane occuparono anche Gerusalemme Est, che fu annessa a Gerusalemme Ovest.

Ma il trasferimento silenzioso continua tutt'oggi. La presenza dei palestinesi a Gerusalemme infatti non si fonda su presupposti legali ma sul buon cuore di Israele. Nel 1967, le nuove autorità israeliane contarono 66.000 persone a cui venne concessa la carta di residenti: furono esclusi per sempre tutti quei palestinesi che in quel momento erano fuori città. Dal 1995 i palestinesi che non sono in grado di dimostrare che la loro vita si svolge in città, perdono lo status di residenti. Sono migliaia i Palestinesi di Gerusalemme a cui sono state ritirate le Carte di identità, e sono stati costretti a lasciare la città oppure a rimanervi da clandestini. Intere famiglie vivono separate per questo motivo. La pulizia etnica procede, attraverso questo trasferimento silenzioso, reso possibile dalle insidie della burocrazia e della pianificazione urbana, ma anche dalle quotidiane occupazioni delle case di palestinesi da parte dei coloni.

Nell'opera di distruzione dei villaggi intorno a Gerusalemme si distinse la brigata Harel di Hitzhak Rabin, futuro primo ministri e premio Nobel per la pace, che distrusse ed evacuò le case, facendole esplodere.

I giochi si svolgeranno nel TEDDY STADIUM, costruito accanto al villaggio palestinese, quasi completamente distrutto di al-Maliha, 5.798 abitanto prima dell'occupazione.

Il villaggio è stato etnicamente ripulito dai suoi abitanti il 15 luglio del 1948, ad opera di bande dell'Irgun Zvai Leumi e del Palmach. Molte case sono state distrutte ma molte esistono ancora e sono abitate da coloni ebrei. Anche la moschea è ancora in piedi col suo minareto che si erge, ormai in stato di abbandono, al centro del villaggio.

Il Teddy Stadium è anche la sede della
famigerata squadra israeliana Beitar Jerusalem, i cui tifosi hanno dato alle fiamme la sede amministrativa del club nel febbraio del 2013, dopo che sono entrati nella squadra due giocatori musulmani provenienti dalla Cecenia. Un mese dopo, quando uno di loro ha segnato il suo primo gol, i tifosi hanno lasciato lo stadio. Moshe Zimmermann, uno storico dello sport presso l'Università ebraica, smentisce le affermazioni che i tifosi del Beitar Jerusalem siano solo una frangia estremista, e dichiara "Il fatto è che la società israeliana nel suo complesso diventa sempre più razzista, o almeno più etnocentrica, e questi fatti ne sono un'espressione.

Note:

[1] Molte delle informazioni sono tratte da PalestineRemembered.com, che si è avvalso per le ricostruzioni di materiali tratti dagli archivi israeliani e di rapporti dell'Intelligence Militare.


[2] Da un articolo di Gideon Levy, su Haaretz del 31 agosto 2012


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