venerdì 16 ottobre 2015

Todo listo por el recorrido ciclistico pacifista de Camp Darby a Guantanamo



El dia 22 octubre a las 4.30 de la tarde a Pisa en Plaza Garibaldi habrà la presentación de la iniciativa internacionalista - pacifista "De Camp Darby a Guantanamo cerrar las bases militares en territorio extraniero “ El 23 de octubre a las horas 10.30 los ciclistas y la caravana partirán de frente la base militar USA de Camp Darby para llegar a las horas 4.00 de la tarde a Piombino (LI), dónde  será presentada la  iniciativa a la ciudadanía, con la presencia de los representantes las asociaciones y de las instituciones adherentes a la manifestación.
El  dia 24 de octubre a las  horas 10.00 el tour partirá de Follonica (GR), más precisamente de plaza del Pueblo, para llegar a las horas 12.00 a Grosseto en calle Inglaterra en la plaza enfrente al  centro comercial Coop, a seguirse desarrollará un almuerzo social de suscripción al círculo ARCI "Khorakhanè" de Grosseto.
 ll 25 de octubre, tercera y última etapa italiana, se partirà de Viterbo para llegar en Plaza del Phanteon en el centro historico  de Roma, en cuyo los compañeros de los círculos ANAIC de Roma se han afanado para organizar la acogida.
Sucesivamente una parte de la caravana se trasladará a Cuba, el día 17 de noviembre de Santa Clara, después de haber devuelto homenaje al CHE  y a los caídos por la Revolución, los ciclistas y quien sigue ellos  partirán por San Spiritus , el 18 serán a Ciego de Ávila, el 19 a Camaguey, el 20 a Las Tunas, el 21 a Bayamo, de Bayamo traslado a Santiago de Cuba, y el 22 llegaran a Guantanamo en ocasión del IV seminario internacional pacifista (22-25 nov.) por el cierre de las bases militares extranjeras en el Mundo. En el febrero pasado hablando con la hija del CHE Aleida Guevara, le fue espuesto la idea de la vuelta ciclistica pacifista, y la idea le gusto, este ha dado los estimulos y la fuerza a los organizadores de hacer de todo para organizarla y despues algunos perfeccionamientos elaborados  con companeros cubanos la manifestacion es al despuegue







mercoledì 9 settembre 2015

La frontiera vista dall'Europa di Isaías Rodríguez*




Il quotidiano El País nel suo editoriale del 6 settembre ci accusa di tenere una frontiera totalitaria, ermetica e feroce come quella della Corea del Nord. Maduro usa la Colombia per spiegare il disastro dell'economia venezuelana. Un accentramento fondato sulle illusioni è la causa di tutto. Il sussidio agli alimenti è parte dell'accentramento che ha cambiato il discorso socialista per definire 'paramilitari' i colombiani. La frontiera tra i due paesi vive una crisi umanitaria e una follia xenofoba. Brasile, Argentina ed Ecuador, osservano ipocritamente. A differenza dell'Europa, i rifugiati colombiani sono costretti a far ritorno nel loro paese.

La propaganda della Spagna e di El País contro il Venezuela rappresenta qualcosa di più che torbido. Elimina le opzioni in modo tale da impedire che i fatti siano razionalmente analizzati. Nega al lettore il dibattito tra i fatti su cui vengono informati e la realtà. Il suo scopo è quello di mostrare che le istituzioni si stanno sgretolando. Gli statunitensi utlizzarono la stessa propaganda con l'Iraq. Identica a quella che vuole l'austerità come unica opzione contro la crisi economica europea. Uguale all'altra che – fino alla morte del bambino siriano Aylan – indicava i rifugiati come invasori in proporzioni bibliche, anche se non arrivano che allo 0,065% della popolazione europea. Fortunatamente, la propaganda oscura la realtà, ma non può ingannare tutti per sempre.

Come le élites colombiane, El País è esperto in cinismo. Per questo quotidiano, così come per il paese fratello il rischio «è che tu voglia rimanere». Vi è un rischio per i turisti e un altro per i cittadini. C'è ancora oggi un rischio che obbliga i colombiani a cercare rifugio in Venezuela e non gli viene negato. Il 20% della nostra popolazione è colombiana e gode degli stessi benefici sociali. Duecentomila morti e novantamila desaparecidos è stato il rischio di rimanere in Colombia e non si tratta di turisti.

La campagna contro il Venezuela ha l'obiettivo di mostrare il fallimento del nostro modello sociale e il presunto successo di quello colombiano. Non solo El País, CNN, El Tiempo, El Nacional, El Universal e la rivista Semana, lo dicono ai quattro venti. Il Venezuela è colpevole di ospitare cinque milioni di sfollati ed esclusi giunti dalla Colombia. La Colombia non è colpevole perché è un paese con un'economia solida. Una solidità davvero strana per un paese che alla chiusura del 10% dei suoi  2219 chilometri di frontiera, mostra le crepe di un capitalismo fatto male.

El País non informa che in un paio di settimane, chiudendo la frontiera, il Venezuela ha recuperato poco più di un milione di litri di benzina; che i prodotti alimentari sono riapparsi nei supermercati venezuelani; che gli omicidi si sono ridotti del 100%; che le code causate dal contrabbando dei prodotti venezuelani si sono adesso spostate sull'altro versante e il governo di Bogotá ha dovuto prendere atto dell'esistenza di una città chiamata Cúcuta; non informa del fatto che la Banca Centrale della Colombia ha emesso una risoluzione volta a distruggere la nostra moneta attraverso un 'cambismo' imbroglione. I governi della Colombia hanno costretto questo paese a un regime senz'anima. Hanno costretto all'espatrio 9 milioni di esseri umani e sembra che per loro la frontiera esista solo per coprire la fame e le necessità.

Ma ancor più, la Spagna e gli Stati Uniti rimpatriano i fratelli colombiani come 'sudaca' e narcotrafficanti; delinquenti e prostitute. In un solo anno gli Stati Uniti hanno deportato 20mila colombiani e la Spagna li ha sottomessi a uno scherno umiliante. Ma così stanno le cose, i maltrattamenti, le separazioni familiari, le molestie, le violazioni dei diritti umani, sono esclusivamente del Venezuela. Ospitiamo 5 milioni di colombiani, ma recitiamo il ruolo dei cattivi. Sappiamo che in Colombia una diplomazia prona, parla l'inglese meglio di noi, ma perfino García Márquez dovette emigrare perché, come nel suo romanzo, iniziò a sperimentare sulla propria pelle la Cronaca di una morte annunciata.

*Ambasciatore della Repubblica Bolivariana del Venezuela in Italia

[Traduzione dal castigliano di Fabrizio Verde]
Fonte: aporrea.org




Verso il III Incontro Italiano di Solidarietà con la
Rivoluzione Bolivariana
Ravenna 9-10-11 Ottobre 2015


Hacia el III Encuentro Italiano de Solidaridad con la
Revolución Bolivariana
Ravenna 9-10-11 Octubre 2015



venerdì 22 maggio 2015

L'Ambasciatore del Venezuela in Italia smentisce incontro al Senato italiano






L'Ambasciatore della Repubblica Bolivariana del Venezuela presso lo Stato Italiano, Julián Isaías Rodríguez Díaz smentisce le informazioni pubblicate dal quotidiano venezuelano in lingua italiana La Voce d'Italia, diretto dal cittadino italiano Mauro Bafile. 

Non so a chi attribuire l'irresponsabilità di questa informazione, se a chi l'ha fornita oppure a chi ha deciso di renderla pubblica senza controllarne la veridicità. In ogni caso, vi è da parte di entrambi la chiara intenzione di danneggiare, a nome della comunità italiana in Venezuela, la gestione del nostro governo e il buon nome del nostro Paese.

Siamo consapevoli che alcuni settori, sia interni che esterni, del Parlamento italiano potrebbero avere una visione distorta di ciò che sta accadendo in Venezuela, ma non è né auspicabile né accettabile che le istituzioni italiane siano utilizzate, nell'ambito di una campagna organizzata a livello internazionale contro il Venezuela, per contribuire a gettare discredito sul nostro paese.

La comunità italo-venezuelana, lo so, ha opinioni non necessariamente identiche riguardo quello che sta accadendo in Venezuela. È possibile che una tendenza politica della comunità trovi più ascolto rispetto a un'altra e questo è un problema che lo Stato italiano deve gestire ed interpretare con cautela e rispetto.

Confermo che non abbiamo ricevuto alcuna formale richiesta scritta della Presidenza dei gruppi della Commissione per i Diritti Umani e del Comitato degli Italiani all'Estero e, tantomeno, che nessuna commissione o comitato parlamentare abbia ufficialmente definito «delicata la nostra situazione politica ed economica».

Siamo a conoscenza tramite notizie di stampa e commenti informali che familiari di dirigenti politici dell'opposizione venezuelana hanno tenuto riunioni con personalità e dirigenti istituzionali della Repubblica italiana, ma sarebbe assurdo pensare che eventi di questa natura conducano all'irresponsabile pretesa d'interpellare l'ambasciatore di una stato sovrano.

Il rappresentante del Venezuela, in merito a quanto riportato dal quotidiano La Voce d'Italia, dichiara che tale riunione non c'è mai stata; fino a questo momento la Missione Diplomatica venezuelana in Italia non ha ricevuto alcun invito dalla Presidenza dei gruppi della Commissione per i Diritti Umani né dal Comitato degli Italiani all'Estero. A tal proposito, il diplomatico venezuelano invita le istituzioni a smentire la notiza pubblicata in quanto la stessa danneggia il nostro paese e incrina le relazioni di fratellanza e cooperazione instaurate e ribadite negli incontri sostenuti con le onorabili istituzioni italiane.   



mercoledì 6 maggio 2015

Carlo Marx, i rivoluzionari e i neoliberali


di Sergio Alejandro Gómez / internet@granma.cu

A 197 anni dalla sua nascita, il pensiero del filosofo ed economista tedesco continuano a girare il mondo
4 maggio 2015.- Carlo Marx non è solo un riferimento per chi lotta per un cambio sociale, anche i suoi più energici detrattori sono costretti a consultarlo in tempi di crisi. Di fatto, è quasi del tutto impossibile ignorare questo economista e filosofo tedesco del XIX secolo, che ebbe la lungimiranza di predire con esattezza l’instabilità del capitalismo e di lottare per tutto l’arco della sua vita a favore di un sistema che superasse le sue ingiustizie e contraddizioni. Sviato da taluni e demonizzato da altri, le sue idee rappresentano tuttora una miscela esplosiva in tempi di crisi. Un inchiesta della BBC del 1999 lo ha definito come il “pensatore del millennio”, superando per importanza non poche delle principali figure della scienza, come Albert Einstein.
Secondo lo storico britannico, Eric Hobsbawm, durante la seconda metà del Ventesimo secolo, quasi tre quarti dell’umanità viveva in un sistema politico con alcuni orientamenti di tipo socialista e che si ispiravano a Marx. Nonostante i cambiamenti e le convulsioni che viviamo oggi, che configurano un mondo invero differente a quello della Prussia che vide nascere Marx il 5 maggio 1818, questi ultimi due secoli non hanno fanno nient’altro che confermare molte delle sue tesi. Non è un caso, infatti, che solo nel 2009 la vendita dei “Il Capitale”, il miglior testo in circolazione che analizza con precisione il funzionamento del sistema capitalista, è andato a “ruba” sia negli Stati Uniti che in Europa. Ora di fronte all’incapacità d’analisi della crisi da parte dei “think thank” neo-cons – gli stessi che parlano della mano invisibile del mercato – molti politici come l’allora presidente francese Nicolas Sarkozy dovettero ammettere di aver dovuto leggere quell’opera per comprendere la crisi strutturale del capitalismo.
Ciò nondimeno, le “ricette” dell’economista britannico John Maynard Keynes – che di certo è colpevole di qualsiasi cosa tranne di essere un rivoluzionario – svolsero una funzione egemonizzante per un breve periodo, lasciando in ombra gli studi di Marx. Le sue ricette contro la crisi è sul ruolo strategico dello stato nel capitalismo segnarono la maggior parte degli studi e delle analisi del secolo passato; sebbene con la discesa del neoliberalismo i suoi scritti cominciarono ad essere dimenticati. Fu Marx che predisse con precisione che il peso della crisi sarebbe ricaduto sulle spalle dei lavoratori e che infine i pesci grandi che avrebbero mangiato quelli piccoli, in quello che egli definiva come il costante processo di accumulazione della ricchezza. Ebbene, questa realtà la vivono oggi milioni di persone, ivi incluso nella ricca Europa, dove non solo cadde il Muro di Berlino, ma anche quello dello stato sociale, che salvaguardava i lavoratori dall’espropriazione capitalista, garantendogli i diritti sociali.
Ora, se certe categorie come borghesia e proletariato possono sembrare di primo acchito antiquate per i nostri tempi, le rivendicazioni di quel 99% che è stanco di quel 1% che prende le decisioni su tutte le questioni più importanti, è senz’altro una conferma che la lotta di classe è il motore della storia, come ebbe a dire Marx. Qualche tempo fa, un libro di 650 pagine scritto dall’economista francese Thomas Piketty si è convertito in un best seller mondiale, là dove prende spunto per le sue analisi da una delle principali tesi del pensiero marxista: la tendenza verso l’accumulazione del capitale, dove i poveri saranno sempre più poveri e i ricchi sempre più ricchi. Il testo ha generato una discussione per nulla pacifica e taluni economisti in doppio petto hanno cercato di confutare i dati degli ultimi trent’anni che ha utilizzato l’economista francese. E chissà che questo non è servito a qualcosa. Queste tesi così chiare e semplici smontano con precisione il mito che la modernità porterebbe con se i benefici dei potenti alla intera maggioranza della popolazione mondiale, come del resto lo aveva già spiegato lo stesso Marx.
Come dimostrano molte inchieste del cosiddetto “Primo Mondo”, gli adulti di oggi non si sentono sicuri che i loro figli riescano a vivere meglio di loro e – anzi – sono convinti che i loro genitori vissero una congiuntura migliore della loro. “Tutto ciò che è solido, svanisce nell’aria”, ebbe a scrivere Marx nel Manifesto Comunista in merito alla tendenza distruttiva e nel contempo creatrice del capitalismo. Era il 1848, non c’erano né internet e nemmeno i telefoni della Apple.

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Alessandro Pagani

sabato 2 maggio 2015

America latina e Stati Uniti: Una relazione asimmetrica - America Latina y EEUU: Una relacion asimetrica


Vertice dei popoli, Università di Panamá.

Tavolo 1: "America Latina: Regione di pace assediata dagli Stati Uniti" 

Marco A. Gandásegui *| 

Le relazioni tra America latina e Stati Uniti sono in una fase di cambiamento molto rapido. A differenza delle relazioni tra le due regioni che caratterizzarono gran parte dei secoli XIX e XX, tutto indica che quello che caratterizzerà il presente secolo, lascerà un segno differente. Tra il 1800, fino alla fine del secolo scorso, il ruolo degli Stati Uniti nella regione latinoamericana era in fase ascendente. Durante quei due secoli si appropriarono di enormi territori, investirono in imprese agro estrattive con enormi vantaggi, formarono solide alleanze con le oligarchie che si consolidarono nel potere locale dopo le guerre di indipendenza e seminarono le loro basi militari nel continente.

Il successo nordamericano sul continente sperimentò puntualmente delle interruzioni, in quei due secoli. La più significativa, senza dubbio, fu la Rivoluzione cubana, che non mise in discussione solo il potere economico e politico di Washington sull'isola, ma sfidò anche l'egemonia culturale e rivendicò la dignità non solo di Cuba, ma di tutto il continente. Altre esperienze come la Rivoluzione messicana, l'Unità Popolare cilena o il Justicialismo argentino - tra le altre - furono scintille che col tempo vennero schiacciate dalla forza militare statunitense.

Tuttavia, dal 1990 l'America latina ha cominciato a vivere un nuovo periodo durante il quale è stata messa sempre più volte in discussione l'egemonia degli Stati Uniti. La Rivoluzione bolivariana del Venezuela, la rivoluzione cittadina in Ecuador, lo Stato multiculturale della Bolivia si sono uniti a Cuba per formare una solida Alleanza che potesse affrontare Washington: l'ALBA. Questo nucleo di paesi ha trovato governi amici nel Nicaragua, Argentina, Uruguay e Brasile, costituendo un blocco storico capace di frenare le ambizioni smisurate di saccheggio economico da parte statunitense nella regione.

Forse il momento clou della nuova correlazione di forze è stato nel 2005 con il Vertice delle Americhe a Mar del Plata, quando sotto la guida del presidente venezuelano Hugo Chavez, l'America Latina ha sconfitto il progetto ALCA (Area di Libero Commercio delle Americhe) ideato da Washington. Gli Stati Uniti notarono il cambiamento nella correlazione di forze e cominciarono a sviluppare un'alternativa per affrontare il blocco latinoamericano che si stava consolidando.

Gli USA stanno perdendo i loro vantaggi economici nella regione. Non sono grandi estrattori ed importatori di materie prime dell'America latina. Neanche grandi esportatori di macchinari e tecnologia. Di conseguenza, stanno perdendo la loro influenza politica e molti governi della regione stanno cercando soluzioni che siano a vantaggio dei propri interessi. Dal punto di vista culturale, gli Stati Uniti conservano ancora la loro egemonia ideologica sulla base del loro controllo sulle istituzioni chiave, nella riproduzione delle credenze fondamentali della gente. Infine mantengono il loro dominio militare, rappresentato da una serie di basi militari in tutto il continente e dalla vendita di armi.

Vediamo di seguito che cosa è stata la strategia di Washington nel decennio tra il 2005 e il 2015 per conservare il dominio nell'emisfero. In primo luogo esamineremo i cambiamenti che ha sperimentato l'economia nordamericana e la sua relazione con l'America latina. In secondo luogo cercheremo le chiavi che spieghino i cambiamenti politici che caratterizzano attualmente le relazioni tra le due regioni. In terzo luogo, si vedrà come si è sgretolata parzialmente l'egemonia culturale costruita in un secolo e mezzo dagli USA. Infine, data la situazione mutata in campo economico e politico, Washington è ricorsa all'arma che continua ancora ad essere il suo asso nella manica: la carta militare.

L'accumulazione capitalista

Gli Stati Uniti sottomettono agli inizi del XIX secolo i paesi del Gran Caribe ad una politica di sfruttamento agro-estrattivo che si estenderà al resto della regione prima che finisca il secolo. A partire dal 1930 impongono la loro politica di industrializzazione mediante la sostituzione di importazioni, trasformandosi nel principale esportatore di tecnologia. Il collasso del modello produce una crisi profonda nell'economia statunitense, che la trasforma in una macchina specializzata in depredare i paesi della regione delle ricchezze. Nell'orizzonte emerge la Cina con la sua politica indirizzata a rimpiazzare gli Stati Uniti come 'compratore' agro-minerario.

Dalla fine della guerra civile nordamericana, 1860 -1865, fino alla fine del XX secolo, la crescita economica degli Stati Uniti è stata costante e spettacolare. Si possono considerare le grandi recessioni capitaliste del 1870 e del 1929, rispettivamente, come crisi di riaccomodamento della forma di accumulazione. Da una piccola potenza dell'epoca di un secolo e mezzo fa, si trasformò nella potenza capitalista egemonica nel XX secolo.

Questo salto lo fece sulla base dello sfruttamento di una massa lavorativa concentrata in un paese continentale, che è riuscita a sottomettere il mondo che gli ha fornito le materie prime e la manodopera richiesta dalla sua crescita industriale. Allo stesso tempo, è riuscita a costruire un impero finanziario che aveva tentacoli in ogni continente.

Per accumulare le ricchezze generate da una crescente classe operaia, gli Stati Uniti si lanciarono in prima istanza - secolo XIX - alla conquista del Messico e del Gran Caribe. I territori messicani annessi all'Unione e le ricchezze minerarie del paese azteco, alimentarono l'industria nordamericana. I Caraibi e il Centro America furono generosi nel fornire cibo per i lavoratori industriali del nord. Allo stesso tempo, Panama aprì il suo angusto istmo, affinché il vigoroso 'Est' nordamericano si unisse all 'Ovest'.

L'industrializzazione nordamericana sembrava instancabile ed insaziabile. Gli Stati Uniti non si appropriarono solo delle risorse naturali e delle ricchezze, neutralizzarono anche e distrussero ogni sforzo delle classi produttive del Messico e dei Caraibi, per spingere il proprio sviluppo ed emergere come concorrenti. Nel caso del Sud America, gli USA agirono allo stesso modo, soppiantando le incursioni precedenti della Gran Bretagna. In pochi decenni riuscirono ad impadronirsi delle materie prime della regione e sottomettere tutti i paesi al loro sistema finanziario.

I grandi industriali nordamericani investivano in America latina, con finanziamento di Wall Street e con l'intervento militare del governo a Washington. Mentre gli Stati Uniti accumulavano sulla base dello sfruttamento degli operai nordamericani e del super-sfruttamento dei lavoratori latinoamericani, i paesi della regione diventavano più dipendenti. La dialettica generava sempre più ricchezza in un polo e più povertà nell'altro.

La Rivoluzione cubana nel 1959 fu il primo segno di ribellione di fronte a questa logica perversa. Come punizione, il blocco statunitense dell'accesso dell'economia cubana al mercato mondiale. La politica neo-liberale, finanziamento dell'economia nordamericana, a partire dagli anni 70, ebbe effetti disastrosi per l'America Latina. Il cosiddetto 'decennio perduto' 1980, ha colpito il continente che cercava di adattarsi senza successo ai cambiamenti di modello di accumulazione degli Stati Uniti. Nel decennio 1990 la nuova politica neoliberale diede ossigeno alle economie capitaliste latinoamericane iniziando un processo di trasferimento di ricchezze dai lavoratori (90 percento della popolazione), ad una piccola minoranza formata dalle oligarchie e dai loro soci.

Il modello basato sul lavoro flessibile, la deregolamentazione e la privatizzazione riuscì a produrre un 'boom' che durò cinque anni, in alcuni casi dieci. Tuttavia, rapidamente si sgonfiò e provocò riflusso in tutti i paesi. Dove più si sentì la sferzata, fu in paesi come Argentina, Bolivia, Brasile, Ecuador e Venezuela. Governi populisti, alleanze operaio-borghesi, arrivarono al potere e scoprirono che gli USA non rappresentavano una via d'uscita alla crisi economica che avevano ereditato dei neoliberisti.

Allo stesso tempo, alla fine degli anni 90 e all'inizio del primo decennio del XXI secolo, cominciò ad emergere con inusitata forza, l'economia della Cina. Per una serie di circostanze, riuscì a generare una crescita industriale poche volte vista nel passato capitalista. Come Gran Bretagna, USA, Germania e Giappone, nel suo momento, la Cina era affamata di materie prime per alimentare le sue industrie ed i suoi lavoratori. In America latina trovò una regione disposta ad iniziare uno scambio che avrebbe fatto bene ad entrambi. In cambio di materie prime, la Cina inviava agli esportatori dollari nordamericani.

Le oligarchie latinoamericane continuarono ad accumulare sulla base della dialettica della dipendenza. Tuttavia, i governi 'populisti' compresero che dovevano generare programmi di aiuto ai settori più impoveriti, per contenere le proteste.

La dominazione politica

Politicamente gli Stati Uniti hanno perso gran parte della loro capacità di manovra contro i popoli latinoamericani. I loro alleati oligarchi, con poche eccezioni, sono diventati dei pesi senza la volontà di condurre una lotta contro i popoli. I paesi dell'Alba, espressioni come la CELAC e le sconfitte che soffrono gli Stati Uniti nelle loro guerre in Colombia e Messico, sono esempi della perdita di egemonia. Nel caso del Venezuela si pone come unica uscita la destabilizzazione, la 'guerra soft' e finalmente il colpo di stato militare.

Gli Stati Uniti riuscirono a sottomettere i paesi della regione latinoamericana sulla base di una strategia che poneva un settore dell'oligarchia in lotta contro un altro. Quando era conveniente ai propri interessi mobilitava le forze popolari: artigiani, contadini, operai e/o classi medie. I conservatori con la Chiesa cattolica come alleata, affrontavano i liberali ed i loro quadri massoni, mentre gli Stati Uniti consolidavano posizioni dentro la struttura politica. Quando Washington dava priorità ai suoi interessi minerari, si alleava ai liberali nemici dei proprietari terrieri conservatori.

Bolivar nel 1825 annunciò le intenzioni statunitensi nella Carta della Giamaica. Un anno dopo era enfatico nei suoi colloqui con Santander sulla non convenienza di invitare Washington al Congresso Anfizionico che si celebrò nella città di Panama.

Nel 1888 Washington convocò una riunione 'Panamericana' per appianare la strada e che gli permettesse di trasformarsi in asse commerciale in tutta la regione. Dopo la Seconda guerra mondiale sottomise tutti i paesi, non senza qualche protesta, ai dettati dell'Organizzazione degli Stati Americani (OEA). Per assicurare la sua egemonia politica nel mondo, particolarmente in America latina, sollevò la minaccia dell'Unione Sovietica. Mediante questa strategia, insieme ai suoi alleati oligarchici nella regione, organizzò un sistema politico che gli permise di reprimere e subordinare i lavoratori, specialmente operai e contadini, per super sfruttarli.

La resistenza ai piani di dominazione nordamericana da parte dei paesi latinoamericani obbligò gli USA ad imporre dittature militari per continuare strappare profitti straordinari della regione. Cuba fu l'unico paese latinoamericano nel XX secolo, che riuscì a liberarsi del giogo politico delle grandi corporazioni nordamericane e dei militari locali.

La crisi del capitalismo nordamericano e del modello neoliberale alla fine del XX secolo, produssero un cambiamento nell'ordinamento politico. Alla nuova correlazione di forze contribuì il collasso dell'esperimento sovietico in Europa. Una nuova oligarchia finanziaria si impadronì dello Stato e dei partiti politici, tanto di destra, che di sinistra. Il PRI (Messico), PS (Cile), Partito Giustizialista (Argentina), PSDB (Brasile), PRD (Panama) ed altri, assunsero il progetto neoliberale come soluzione unica ai problemi della regione. Hanno gareggiato per il favore delle imprese e dei loro clienti elettorali, nelle campagne elettorali.

Questo quadro venne sgretolato quando apparvero, sotto il vuoto creato dalla vecchia 'sinistra' , il PT (Brasile), l'ala sinistra del Giustizialismo (Argentina), la Nuovo República/PSUV (Venezuela), il Movimento Cittadino (Ecuador) ed il Fronte Ampio (Uruguay).

In Centro America, i fronti militari di liberazione nazionale dei decenni 70 e 80 - FSLN e FMLN - arrivarono al potere mediante elezioni agli inizi del XXI secolo.

I paesi dell'Alba riuscirono a mantenere, nonostante gli attacchi statunitensi, un fronte comune, con molta autonomia. Invece, le altre sinistre al potere dovettero negoziare con Washington per conservare gli spazi necessari per continuare a governare.

Gli Stati Uniti non abbandonarono le loro tattiche golpiste. Nel 2007 toccò a Mel Zelaya in Honduras ed allo stesso modo a Lugo nel 2012 in Paraguay. Nel 2002 organizzano un colpo militare-corporativo (frustrato) contro il presidente Chávez in Venezuela. Da quella data gli Stati Uniti non hanno smesso di destabilizzare e minacciare con interventi militari il governo venezuelano presieduto da Nicolás Maduro.

I golpe militari statunitensi in America latina rappresentano cambiamenti radicali nella correlazione di forze. Nel XX secolo ebbero tre assi. Il primo fu nella prima metà di quel secolo, quando collassò il sistema capitalista mondiale, con la recessione e gli USA vollero assicurare la loro dominazione. Durante la Seconda guerra il mondiale manovrarono per conservare la regione come fornitore di materie prime e beni industriali per lo sforzo bellico. Il terzo momento fu conseguenza dell'ondata di movimenti di un proletariato maturo, che scosse le fondamenta politiche della regione e fu soffocato violentemente a partire dal decennio1960.

Gli Stati Uniti hanno anche fatto ricorso a omicidi per sbarazzarsi di leader politici che minacciavano la loro egemonia: Gaitán in Colombia, Jaime Roldós in Ecuador, Torrijos a Panama, Allende in Cile e probabilmente Chávez in Venezuela.

L'egemonia culturale

Il consumismo è l'ideologia che riesce a mantenere la coesione sociale negli Stati Uniti, in America latina e nel resto del mondo. Il consumismo è l'ideologia del sistema capitalista, che gli permette di mantenere il controllo sulla popolazione. Da una parte, il consumismo eguaglia tutti i membri della società capitalista trasformandoli in aspiranti ad essere parti del mercato. D'altra parte, il consumismo crea condizioni per promuovere la concorrenza tra individui. Il risultato più completo del consumismo è la sua capacità di eliminare le linee di classe, che sono la preoccupazione principale dei settori dominanti.

Il consumismo ha due basi chiave affinché possa funzionare. Da una parte, i lavoratori salariati. Senza questa classe di lavoratori, il consumismo si riduce ad un piccolo circolo di redditieri e capitalisti. Il consumismo, nella terminologia della classe dominante, produce una 'classe media'. Il consumatore di merci, prodotte per i lavoratori salariati, è membro della 'classe media'. Non importa da che settore della società provenga.

Inoltre, il consumismo richiede una poderosa macchina pubblicitaria che divulghi quali sono le merci in offerta ed inoltre stimoli il consumo da parte dei lavoratori. Il consumo deve superare l'entrata dei lavoratori, il salario, per creare un'economia virtuale basata sul debito e la speculazione.

Gli Stati Uniti riuscirono a creare questa economia basata su strumenti speculativi agli inizi del XX secolo. Consolidarono il modello nel periodo successivo alla Seconda guerra mondiale (1945 -1975). A partire da quest'ultima data iniziò la costruzione di un'economia virtuale mediante la subordinazione del settore, produttivo, del capitalismo, al settore delle finanze, speculativo.

Il mondo e l'America latina sono stati oggetto di un processo di finanziamento delle proprie economie. Nel XIX secolo la penetrazione del capitalismo nordamericano creò un mercato agro-minerario di enormi dimensioni. Successivamente, nel XX secolo, mediante l'esportazione di tecnologia industriale, il capitale nordamericano creò borghesie nazionali dipendenti ed una classe operaia combattiva. Attualmente, il cosiddetto mercato 'virtuale' del capitale finanziario nordamericano si è impadronito delle economie, distruggendo la borghesia nazionale e debilitando la classe operaia.

La nuova fase di accumulazione capitalista deve conservare l'ideologia consumistica per non perdere la sua egemonia culturale. Il consumismo ha invaso tutti gli spazi della società latinoamericana: la famiglia, l'educazione, le chiese, la comunità, i partiti politici e le altre istituzioni sociali. Nell'attuale fase dello sviluppo capitalista, chi non consuma è espulso, emarginato e virtualmente inesistente. Per esistere bisogna consumare. Consumo, dopo sono. La mia identità si riferisce direttamente al mio status di consumatore.

Gli USA controllano quasi tutte le molle del consumo di merci. Addirittura i prodotti che si consumano possono essere 'prodotto nazionale' o 'made in Cina', ma riproducono l'ideologia nordamericana e l 'American Way of Life.' Alla fine del XX secolo l'ideologo Henry Kissinger si preoccupava della crescente influenza del calcio europeo e del suo impatto sull'America latina ed il resto del mondo. Dopo la crisi del 2008 ed il collasso del progetto europeo, starà riposando più tranquillo.

Il modello cinese toglie un po' attualmente il sonno. Tuttavia, la Cina pretende di sostituire gli Stati Uniti a lungo termine (XXII secolo?), non pretende di presentare un'alternativa. Anche se con qualche carenza, il modello sovietico del ventesimo secolo conteneva gli elementi ideologici di una alternativa: il socialismo.

L'ideologia del socialismo si differenzia dal capitalismo in un aspetto fondamentale: mentre l'ultimo si basa sul consumismo competitivo, il primo ha come ideale la solidarietà. In teoria nel socialismo non vi è spazio alcuno per l'accumulazione. Come conseguenza, è impossibile che sorga un modello finanziario di società (speculativo).

La sudcoreana Samsung è l'impresa che più spende in pubblicità al mondo. Un totale di 14 mila milioni di dollari. Nel 2013 le imprese capitaliste statunitensi hanno speso 100 mila milioni di dollari in pubblicità. La compagnia Procter & Gamble ha investito 5 mila milioni in quell'anno. Più del 40 percento degli acquisti negli Stati Uniti si fa attraverso la televisione (via cavo o altro).

La partecipazione statunitense nella pubblicità mondiale sta diminuendo. Tuttavia, domina ancora -con un 33 percento del totale - il commercio della pubblicità. La Cina che 20 anni fa arrivava appena all'uno percento, nel 2013 si posizionava vicino al 9 percento. L'America latina ha il 7 percento del mercato pubblicitario. Il 40 per cento del bilancio totale di circa 40 miliardi di dollari all'anno per la pubblicità in America Latina, è concentrata in Brasile. La crescita delle spese di pubblicità in America latina è più rapida che nel resto del mondo. Nel 2016 si calcola che si spenderanno solo 31 mila milioni nella regione in internet, a differenza dei 17 mila milioni del 2011. In televisione si passerebbe da 20 mila milioni a 30 mila milioni di dollari nel 2016. Nei giornali stampati aumenterebbe da 8 mila milioni, a 10 mila milioni di dollari.

L'economia reale mondiale produce quasi 30 milioni di milioni. L'investimento in pubblicità rappresenta 30 mila milioni. Un 20 percento.

La forza militare

La congiuntura ci presenta un mondo capitalista agitato, con la potenza egemonica agonizzante - ma dominante - ed una America latina insurrezionale. Siamo di fronte a qualcosa di simile alla crisi che scosse il continente due secoli fa, le cosidette guerre di liberazione (1808 -1825) o piuttosto un ricrearsi della frattura sofferta dal continente con la perdita dei suoi mercati imperiali nel XX secolo? La crisi di egemonia degli Stati Uniti prende una parte importante dei dibattiti attuali. C'è chi, come il professore Nye (dell'Università di Harvard ), discute e nega l'esistenza della crisi di egemonia. E' un noto sostenitore della Scuola del Secolo americano (Bush, Cheney e CIA). I conflitti che Nye vede nel mondo in questa congiuntura, sono segni dell'egemonia nordamericana. Li interpreta come risultato del potere militare nordamericano.

Potere militare, tuttavia, che ha lasciato esistere una base sociale capace di riprodursi. Al suo posto pare che si formi e consolidi un altro asse egemonico (euroasiatico) capace di riprodurre per un nuovo periodo il sistema capitalista di accumulazione. Come nel passato, dovrà risolvere la crisi ambientale, la crisi alimentare e la crisi energetica. Sarà capace di affrontare la sfida nei primi decenni del presente secolo?

Nye non considera che ci sono problemi che deve affrontare la riproduzione del capitalismo. Come consulente degli ultimi quattro presidenti, riduce la questione al potere militare, alla produzione di armi e alla conquista di fonti energetiche(per bloccare l'accesso libero dei concorrenti). Fonti che non sono distribuite a caso - in gran parte - precisamente proprio in Medio Oriente, Russia e Gran Caribe (Venezuela).

Gli Stati Uniti sono uno dei tre paesi al mondo che non ha ratificato la Convenzione Interamericana contro la produzione ed il traffico illecito di armi ed esplosivi. L'Accordo promuove la proibizione della manifattura illegale di armi e lo scambio di informazione. L'Accordo fu firmato dal presidente Clinton nel 1997, senza essere approvato dal Senato. Ugualmente non ratifica il Trattato sul Commercio di Armi dell'ONU del 2013.

Nel Vertice delle Americhe del 2012, la stragrande maggioranza dei presidenti ha proposto un approccio diverso alla Guerra alla droga. E' stato chiesto anche agli USA di controllare le reti criminali, il traffico illegale di armi e rinforzare le leggi contro il loro uso indiscriminato. Senza dubbio, la pazienza dei paesi latinoamericani e la mancanza di credibilità da parte degli USA stanno creando un ambiente ostile a Washington.

761 basi militari statunitensi nel mondo 

Gli Stati Uniti mantengono truppe in più di 560 basi e altri siti, all'estero. In totale 761 'luoghi' militari attivi in paesi stranieri. L'esercito nordamericano con i suoi avamposti all'estero risulta avere sotto il suo controllo circa 52 mila edifici e più di 38 mila elementi infrastrutturali pesanti, come moli, banchine e giganteschi magazzini.

In America latina si contano 50 basi militari conosciute. Vediamo la lista.

Argentina: 2 basi

La base aerea e navale, nell'arcipelago di Malvinas, occupato colonialmente dalla Gran Bretagna, Fortezza della NATO a Mount Pleasant, Isola Soledad, la cui pista maggiore ha una lunghezza di 2.600 metri.
La base aerea, El ex gobernador de Tierra del Fuego, in località Tolhuin.

Nel febbraio 2012 diventò pubblica nella provincia del Chaco, l'installazione di un Centro anti catastrofi ed aiuto umanitario, finanziato dal Comando Sud USA. Funzionerebbe nell'Aeroporto Internazionale di Resistenza, capitale di Chaco. Il Centro disporrebbe di un radar e di squadre di comunicazione che abiliterebbero il posto a centro di controllo e spionaggio e che coprirebbe quattro paesi del Cono Meridionale.

Aruba: 1 base

Base Aerea Reina Beatriz.

Bolivia: Non ha basi militari straniere. La Costituzione politica dello Stato approvata durante il governo di Evo Morales le proibisce espressamente.

Colombia: 8 basi USA
La base aerea di Apiay, nel Dipartimento del Meta;
La base aerea di Malambo, ubicata nell'area metropolitana di Barranquilla;
La base aerea di Palanquero, situata a Puerto Salgar, nel dipartimento (provincia) di Cundinamarca che conta una pista di atterraggio di 3500 metri;
La base aerea di Tolemaida, in Melgar, Tolima, è il forte militare più grande dell'America latina e ha un'importante forza di spiegamento rapido;
La base navale di Baia Malaga, nel Pacifico colombiano, vicino a Buenaventura;
La base navale di Cartagena, nella costa del Mar dei Caraibi.

Ad esse si aggiungono:
La base aerea di Tres Esquinas ubicata nel Dipartimento di Caquetá
La base aerea Larandia, nello stesso dipartimento.
Il porto di Turbo (molto vicino alla frontiera con Panama) usato per l'approvvigionamento della IV Flotta.

Costa Rica: 2 basi USA
La base aerea e navale degli Stati Uniti in Liberia. Nel 2010 il Congresso nazionale autorizzò lo sbarco di migliaia di soldati nordamericani in mezzo ad un conflitto tra Costa Rica e Nicaragua.
La base navale località Caldera. Il vicecomandante dell'Esercito meridionale nordamericano, Paul Trivelli, ha messo a conoscenza di un investimento di 15 milioni di dollari per una base navale che si costruirà nella località di Caldera, provincia di Puntarenas. Lì funzionerà, inoltre, una scuola per l'addestramento di ufficiali guardacoste.

Cuba: 1 base aerea e navale usurpata dagli Stati Uniti, a Guantánamo

Curazao: 1 base aerea USA a Hato Rey

Cile: 1 base aerea e navale con autorizzazione del governo di Sebastián Piñera venne installata nel Fuerte Aguayo, a Concón, vicino a Valparaíso con la motivazione che era necessaria per "eseguire operazioni di mantenimento della pace o di stabilità civile", come indica l'ambasciata nordamericana. L'accordo insiste sulla logica che le Forze armate devono intervenire in caso di conflitti sociali o di "instabilità civile."

Ecuador: con la ritirata USA dalla Base di Manta , non dovrebbero esserci basi militari straniere nel paese.

El Salvador: 1 base aerea a Comalapa, molto prossima all'Aeroporto internazionale di San Salvator.

Guadalupe: 2 basi aeree e navali di Francia e NATO.

Guadalupe, nel mar dei Caraibi, è un dipartimento d'oltremare della Francia. A Guadalupe, a 600 km al nord delle coste dell'America del Sud e a sudest della Repubblica Dominicana, si trova il 41º Battaglione francese della Fanteria di Marina, oltre ad aerei, elicotteri ed effettivi dell'Aviazione.

Guatemala: non ci sono informazioni su basi militari straniere, ma sappiamo che si è estesa a questo paese la militarizzazione delle azioni anti droga (Iniziativa Merida) che si sta applicando in Messico, con una presenza costante di truppe statunitensi.

Guayana Francese: 3 basi.
In questo territorio (residuo coloniale francese in America del Sud) si concentrano principalmente truppe a Cayena, San Juan de Maroni ed altri posti. Ma la più importante è la Base aerospaziale francese a Kourou, ora gestita dall'Agenzia Spaziale Europea. Le sue installazioni sono tra le più avanzate del mondo nella funzione che svolge. È preparata per il lancio di satelliti con obiettivi diversi. Il radar ubicato a Troubiran e la Base Aerospaziale permettono l'osservazione ed il controllo di tutti i paesi della regione. Con l'arrivo del satellite militare Galileo, la Francia conta in Guayana 40.000 barbouzes (agenti non ufficiali), pensionati in attività sotto il comando dello Stato maggiore delle forze armate e dei servizi di intelligenza distaccati in Guayana, capaci di intervenire contro gli indipendentisti guyanesi.

Haiti: 1 base aerea e navale. Oltre alla presenza, dal 2004, della MINUSTAH, si registra una presenza di truppe USA il cui numero non si è potuto determinare, così come l'attracco di imbarcazioni della IV Flotta. Dall'invasione di più di 20.000 effettivi, con la motivazione del terremoto del gennaio 2010, organizzazioni di Haiti denunciano che le truppe sono rimaste e che tutto il loro territorio può essere considerato una grande base militare straniera.

Honduras: 3 basi
base aerea statunitense Soto Cano, a Palmerola con una pista di 2.600 metri;
base aerea, a Puerto Lempira, sulla laguna Caratasca, nel Dipartimento Gracias a Dios, prossimo alla costa del Mar dei Caraibi;
base aerea in Guanaja, Dipartimento Islas de la Bahía , nei Caraibi.

Martinica: 2 basi NATO francesi
Il caso della Martinica è simile a quello di Guadalupe, con almeno due basi francesi (NATO). Sul posto, l'Esercito francese conta di 1.000 effettivi permanenti, includendo il 33º Reggimento di Fanteria con sede nella capitale Fort de France. Lì inoltre si trova posizionata la Marina da Guerra con 500 effettivi e le squadre necessarie. Il paese è una base di appoggio di enorme importanza per la vigilanza, l'intelligence e gli interventi militari nella regione, (insieme a Guadalupe, la Martinica è servita come sosta durante la Guerra delle Malvinas e l'invasione di Granada; inoltre, Francia ed USA organizzano regolarmente manovre militari unitarie.

Messico: 2 basi
La militarizzazione della lotta anti droga con l'intervento diretto degli Stati Uniti, ha lasciato negli ultimi anni in questo paese decine di migliaia di morti.
L'Iniziativa Merida, firmata nel 2008 dai presidenti Bush e Calderón, implica, secondo gli accordi firmati, l'addestramento delle forze militari messicane da parte USA, la vendita di armi e la strategia militare necessarie per il controllo dello Stato. Col sorvolo su tutto il territorio di aerei spia senza pilota e l'ingerenza di truppe di Washington nella sicurezza interna del paese.
A maggio 2011 la nascita di due basi militari alla frontiera con il Guatemala. Queste due nuove basi militari sono situate a Chiquimosuelo e Jiquipilas, per raccomandazione della DEA. Questo va sommato ai quattordici mila militari già esistenti in Chiapas. La Difesa Nazionale assicura che il Messico è "occupato" dagli organismi di sicurezza statunitensi.

Panama: 12 basi Aeronavali in entrambe le coste.

Sul Pacifico:
1) base aerea e navale Isla de Chapera
2) base aerea e navale Bahía o Puerto Piña a Darién
3) base aerea e navale Quebrada de Piedra a Chiriquí
4) base aerea e navale Rambala, a Bocas del Toro
5) base aerea e navale Punta Coco, a el Archipiélago de las Perlas;
6) base aerea e navale Isla Galera;
7) base aerea e navale Mensabé, a Los Santos;
8) Isla de Coiba, a Veraguas.

Sui Caraibi:
9) base aerea e navale e Sherman, a Colón
10) base aerea e navale El Porvenir, a Kuna Yala
11) base aerea e navale Puerto Obaldía, a Kuna Yala
12) base aerea e navale San Vicente, a Metetí, Prov. de Darién, vicino alla frontiera con la Colombia.

Oltre alle 12 basi elencate, sono previste altre basi militari (rispetto alle quali abbiamo bisogno di ulteriori informazioni) a: La Palma (Pacífico), provincia di Darién; Isla Grande (Caribe), provincia di Colón; Yaviza, provincia di Darién e Estación Naval Rodman (Pacífico) all'imbocco del Canale di Panamá.

Paraguay: 2 basi aeree
base aerea En Mariscal Estigarribia, nel Chaco paraguaiano, con infrastrutture per ospitare varie migliaia di soldati ed una pista di 3.800 metri di lunghezza.
base aerea a Pedro Juan Caballero (Base della DEA statunitense) sulla frontiera col Brasile.

Perù: 3 basi aeree e navali
tre basi militari USA
base aerea Iquitos,
base aerea Nanay e Santa Lucía. Su questa ultima ubicata sul Río Huallaga (Alto Huallaga), mancano dettagli ed informazioni recenti.
Base Navale. Il governo peruviano ha autorizzato gli USA all'uso di porti per l'approvvigionamento della IV Flotta nelle vicinanze del porto di El Callao.
D'altra parte, in virtù degli accordi tra il Governo peruviano e gli Stati Uniti, a partire dal 2006 entrambi gli Stati hanno incrementato le loro azioni di cooperazione militare, nell'intendimento comune che il "narcoterrorismo" costituisse una "minaccia asimmetrica" che giustificherebbe l'assistenza militare degli Stati Uniti "senza condizioni."

Repubblica Dominicana: 1 base
base navale patrocinata dal governo USA nell'isola di Saona, nell'estremo sudest del paese.

Porto Rico
Porto Rico è considerato dagli USA come un "Stato Libero Associato." L'isola fu occupata militarmente nel 1898 come bottino di guerra, dopo l'indipendenza di Cuba.

(Fonte: Guillermo Saavedra)

Interventi militari più recenti degli Stati Uniti in America latina (2015)

Indipendentemente dalla politica contraria agli interessi di tutti i paesi della regione, gli Stati Uniti continuano a intervenire militarmente. Nel 2015 hanno aumentato la presenza militare in Honduras, Perù e Messico.

Honduras: Appena una settimana fa, il 1º aprile, la base militare di Palmerola che opera per gli Stati Uniti in Honduras, ha ricevuto una nuova unità chiamata Task Force for Special Purposes ("Forza Speciale per obiettivi speciali"). Secondo il sito defensa.com, conterà su 250 uomini effettivi, almeno quattro elicotteri pesanti, un moderno catamarano ad alta velocità ed altri mezzi ed armi. La stessa pubblicazione aggiunge che la forza si userà per missioni,in collaborazione con paesi dell'area, di assistenza umanitaria ed operazioni antidroga.

L 'unità speciale' sarà pronta per entrare in azione nella regione tra giugno e novembre 2015. La base di Palmerola - a 86 chilometri della capitale onduregna di Tegucigalpa - è considerata una delle più importanti degli Stati Uniti nella regione ed ospita circa 500 soldati nordamericani in modo permanente. La nuova 'task force ' fa parte della rete che coordina il Comando Sud degli Stati Uniti, la cui sede sta nel sud della Florida. La vigilia del dispiegamento del nuovo contingente USA in Honduras, il segretario generale dell'Unione delle Nazioni Sudamericane, Ernesto Samper, propose di eliminare le basi militari di quel paese nella regione. Le qualificò come residui dell'epoca "della Guerra Fredda."

Perù: Washington incrementerà il contingente militare di 3.200 soldati. Secondo dichiarazioni ufficiali, l'aumento servirà per migliorare la lotta unitaria coi soldati della Marina peruviana contro gli insorti ed i narcotrafficanti, informa Defensa.com. L'informazione del Dipartimento della Difesa statunitense dice che "le forze peruviane si confrontano regolarmente col gruppo guerrigliero Sendero Luminoso e Lima ha manifestato di voler chiedere almeno 2.500 effettivi per raddoppiare la presenza della polizia nelle zone meno accessibili".

Secondo il ricercatore principale dell'Istituto del Perù, Miguel Santillana, l'iniziativa USA si basa sul proprio interesse di conservare la presenza militare in Sud America, a spese del popolo peruviano. "I nordamericani hanno una presenza in Perù come in qualunque paese dell'America Latina, perché sentono che siamo la loro zona di influenza. Essi si sentono in diritto di avere presenza ufficiale e non ufficiale sul nostro territorio", ha detto Santillana a Russia Today. Il congresso peruviano ha autorizzato l'entrata di truppe straniere nel territorio nazionale il 29 gennaio 2015. Le truppe nordamericane sono arrivate in Perù in tre tappe. Il primo contingente, composto da 58 soldati, è sbarcato in territorio peruviano il 1º febbraio, due giorni dopo avere ricevuto il permesso dal Congresso. Il secondo, formato da 67 soldati, è arrivato il 15 marzo. Il terzo contingente, in totale 3.200 soldati nordamericani, arriverà il 1º settembre 2015.

Messico: Agli inizi del 2015 il Messico annunciò che avrebbe comprato aeronavi e veicoli militari USA, per un importo di 1.441 milioni di dollari, il che rappresenta la quinta parte del bilancio annuale della difesa messicana. La vendita di veicoli ed aeronavi autorizzata dal Dipartimento di Stato, include 3.335 fuoristrada Humvee, ad un costo di 556 milioni di dollari. Si tratta quasi dello stesso numero di veicoli che l'Afghanistan acquistò nel 2011. Inoltre, si è autorizzato l'acquisto di 23 elicotteri Blackhawk per un importo di 905 milioni di dollari, così come l'acquisto di un lotto di aerei da addestramento Beechcraft T-6C Texan per un importo di 480 milioni di dollari, segnala l'Agenzia per la Cooperazione alla Difesa della Sicurezza del Pentagono. Per l'importo degli acquisti, il Messico si situa al primo posto in America Latina e Caraibi tra coloro che realizzano acquisti militari dagli Stati Uniti, secondo informazione dell'Agenzia e della Security Assistance Monitor.

Vendite di armi USA all'America latina 2005-2010

Tra il 2005 e il 2010 la vendita di armi è quasi raddoppiata. Nel 2005 gli Stati Uniti vendevano ai paesi della regione mille milioni di dollari di armi. Nel 2010 la somma arrivò a 1,7 mila milioni di dollari. Nel periodo indicato, hanno venduto per un totale di 9,2 mila milioni di dollari all'America Latina. Cifre ufficiose vedono le vendite di armi statunitensi ai paesi latinoamericani tra il 2011 e il 2014 aumentate di altri 15 mila milioni.

Vendite di armi USA all'America latina 2005-2010

(in dollari)
2005  1,071,212,054
2006  1,435,276,238
2007  1,194,534,296
2008  1,921,083,254
2009  1,898,858,064
2010  1,726,581,395

totale  9,247,545,301

Il Messico ha comprato 3,2 mila milioni di dollari in armi solo tra il 2005 e il 2010. Lo ha seguito la Colombia, con 2 mila milioni. I due paesi rappresentano la metà di tutte le vendite USA nella regione latinoamericana.

Secondo in importanza, segue il Cile (1,2 milioni) e il Brasile (mille milioni di dollari). Per completare i dieci paesi con più armi vendute dagli Stati uniti nella regione latinoamericana, ricordiamo l'Argentina (340 milioni), il Perù (260 milioni), la Rep. Dominicana (150 milioni), Costa Rica (88 milioni), Panama (65,8 milioni) e Venezuela (65,2 milioni). Costa Rica e Panama non possiedono eserciti, secondo le loro rispettive Costituzioni.

 Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare



America Latina y EEUU: Una relacion

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* Marco A. Gandásegui, figlio
Professore di Sociologia dell'Università di Panama e ricercatore associato del CELA (Centro de Estudios Latinoamericanos)
Las relaciones entre América latina y EEUU están en una fase de cambios muy rápidos. A diferencia de las relaciones entre las dos regiones que marcaron gran parte de los siglos XIX y XX, todo indica que lo que caracterizará el presente siglo tendrá un signo diferente. Entre 1800 hasta fines del siglo pasado, el rol de EEUU en la región latinoamericana fue ascendente. Durante esos dos siglos, EEUU se apropió de enormes territorios, invirtió en empresas agro extractivas con enormes ventajas, formó sólidas alianzas con las oligarquías que se afianzaron en el poder local después de las guerras de independencia y sembró sus bases militares a lo largo del continente.

El avance norteamericano sobre el continente experimentó interrupciones puntuales en ese período de dos siglos. El más significativo, sin duda, fue la Revolución cubana que no sólo cuestionó el poder económico y político de Washington sobre la isla. También retó la hegemonía cultural y reivindicó la dignidad no sólo de Cuba sino de todo el continente. Otras experiencias como la Revolución mexicana, la Unidad Popular chilena o el Justicialismo argentino – entre otras - fueron chispazos que con el tiempo fueron aplastados por la fuerza militar de EEUU.

Sin embargo, desde 1990 América latina ha comenzado a vivir un nuevo período en que está cuestionando la hegemonía de EEUU de manera creciente. La Revolución bolivariana de Venezuela, la revolución ciudadana en Ecuador, el Estado multicultural de Bolivia se han unido a Cuba para formar una sólida Alianza que pueda enfrentar a Washington: el ALBA. Este núcleo de países han encontrado gobiernos amigos en Nicaragua, Argentina, Uruguay y Brasil que han constituido un bloque histórico que logra frenar las ambiciones desmedidas de despojo económico de EEUU en la región.

Quizás el momento estelar de la nueva correlación de fuerzas se produjo en 2005 con motivo de la Cumbre de las Américas celebrada en Mar del Plata cuando bajo el liderazgo del presidente venezolano, Hugo Chávez, América latina derrotó el proyecto ALCA concebido por Washington. EEUU se percató del cambio en la correlación de fuerzas y comenzó a desarrollar una alternativa para enfrentar el bloque latinoamericano que se estaba consolidando.

EEUU está perdiendo sus ventajas económicas en la región. No es el gran extractor e importador de materias primas de América latina. Tampoco es el gran exportador de maquinaria y tecnología. Como consecuencia, está perdiendo su influencia política y muchos gobiernos de la región están buscando soluciones más de acuerdo con sus intereses. Por el lado cultural, EEUU aún conserva su hegemonía ideológica sobre la base de su control sobre instituciones claves en la reproducción de las creencias básicas de la gente. Por último, EEUU mantiene su dominación militar, representada en un rosario de bases militares en toda la región, y en la venta de armas.

Vamos a ver a continuación en qué consistió la estrategia de Washington en la década entre 2005 y 2015 para conservar su dominio en el hemisferio. En primer lugar, examinaremos los cambios que ha experimentado la economía norteamericana y su relación con América latina. En segundo lugar, buscaremos las claves que expliquen los cambios políticos que caracterizan en la actualidad las relaciones entre las dos regiones. En tercer lugar, se verá como se ha resquebrado parcialmente la hegemonía cultural construida durante un siglo y medio por parte de EEUU. Por último, ante la situación cambiante en lo económico y político, Washington ha recurrido al arma que aún sigue siendo su as: la carta militar.
La acumulación capitalista
EEUU somete a principios del siglo XIX a los países del Gran Caribe a una política de explotación agro-extractiva que se extiende al resto de la región antes de que termine el siglo. A partir de 1930 impone su política de industrialización mediante la sustitución de importaciones, para lo cual se convierte en el principal exportador de tecnología. El colapso del modelo produce una crisis profunda en la economía de EEUU que la transforma en una máquina especializada en despojar a los países de la región de sus riquezas. En el horizonte emerge China con su política para reemplazar a EEUU como ‘comprador’ agro-minero.

Desde finales de la guerra civil norteamericana (1860-1865) hasta fines del siglo XX, el crecimiento económico de EEUU fue constante y espectacular. Se pueden considerar las grandes recesiones capitalistas de 1870 y 1929, respectivamente, como crisis de reacomodo de la forma de acumulación. De una pequeña potencia en aquella época hace siglo y medio, se convirtió en la potencia capitalista hegemónica en el siglo XX.

Este salto lo dio sobre la base de la explotación de una masa laboral concentrada en un país continental que logró subyugar el resto del mundo que le proporcionaba materias primas y la mano de obra que requería su crecimiento industrial. Al mismo tiempo, logró construir un imperio financiero que tenía tentáculos en todos los continentes.

Para acumular las riquezas generadas por una creciente clase obrera, EEUU se lanzó en primera instancia – siglo XIX - a la conquista de México y el Gran Caribe. Los territorios mexicanos anexados a la Unión y las riquezas mineras del país azteca alimento la industria norteamericana. El Caribe y Centro América fueron generosos en proporcionar alimentos para los trabajadores industriales del norte. Al mismo tiempo, Panamá abrió su angosto istmo para que el pujante ‘Este’ norteamericano se uniera al ‘Oeste’.

La industrialización norteamericana parecía incansable e insaciable. EEUU no sólo se apropió de los recursos naturales y riquezas, también neutralizó y destruyó todo esfuerzo por las clases productivas de los países de México y el Caribe para impulsar su propio desarrollo y surgir como competidores. En el caso de Sur América, EEUU actuó de la misma manera, desplazando las incursiones primitivas de Gran Bretaña. En unas pocas décadas logró adueñarse de las materias primas de la región y sometió a todos los países a su sistema financiero. 

Los grandes industriales norteamericanos invertían en América latina, con financiamiento de Wall Street y con la intervención militar del gobierno asentado en Washington. Mientras EEUU acumulaba sobre la base de la explotación de los obreros norteamericanos y la súper-explotación de los trabajadores latinoamericanos, los países de la región se hacían más dependientes. La dialéctica generaba cada vez más riqueza en un polo y más pobreza en el otro.

La Revolución cubana en 1959 fue el primer signo de rebelión frente a esta lógica perversa. Como castigo, EEUU bloqueo el acceso de la economía cubana al merado mundial. La política neo-liberal (financiación de la economía norteamericana) a partir de la década de 1970 tuvo efectos desastrosos para América latina. La llamada ‘década perdida’ de 1980 golpeó a la región que intentaba acomodarse sin éxito a los cambios de modelo de acumulación de EEUU. En la década de 1990 la nueva política neoliberal le dio oxígeno a las economías capitalitas latinoamericanas iniciando un proceso de traspaso de riquezas de los trabajadores (90 por ciento de la población) a una pequeña minoría formada por las oligarquías y sus socios.

El modelo sustentado sobre la flexibilización del trabajo, la desregulación y la privatización logró producir un ‘boom’ que duró cinco años, en algunos casos diez. Sin embargo, rapidamente se desinflaron y provocaron reflujos en todos los países. Donde más se sintió el latigazo fue en países como Argentina, Bolivia, Brasil, Ecuador y Venezuela. Gobiernos populistas (alianzas obrero-burguesas) llegaron al poder y descubrieron que EEUU no representaba una salida para la crisis económica que habían heredado de los neoliberales.

Al mismo tiempo, a finales de la década de 1990 y principios de la primera década del siglo XXI, comenzó a emerger con inusitada fuerza la economía de China. Por una serie de circunstancias, logró generar un crecimiento industrial pocas veces vista en el pasado capitalista. Igual que Gran Bretaña, EEUU, Alemania y Japón, en su momento, China estaba hambrienta de materias primas para alimentar sus industrias y sus trabajadores. En América latina encontró una región dispuesta a iniciar un intercambio que beneficiaría a ambos extremos. A cambio de materias primas, China enviaba a los exportadores dólares norteamericanos.

Las oligarquías latinoamericanas continuaron acumulando sobre la base de la dialéctica de la dependencia. Sin embargo, los gobiernos ‘populistas’ comprendieron que tenían que generar programas de ayuda a los sectores más empobrecidos para contener las protestas.
La dominación política
Políticamente, EEUU ha perdido gran parte de su capacidad de maniobra frente a los pueblos latinoamericanos. Sus aliados oligarcas, con pocas excepciones, se han vuelto cargas que no tienen la voluntad de encabezar una lucha contra los pueblos. Los países del ALBA, expresiones como CELAC y las derrotas que sufre EEUU en sus guerras en Colombia y México son ejemplos de la pérdida de hegemonía. En el caso de Venezuela plantea como única salida la desestabilización, la ‘guerra suave’ y finalmente el golpe de Estado militar.

EEUU logró someter a los países de la región latinoamericana sobre la base de una estrategia que ponía a un sector de la oligarquía a luchar contra la otra. Cuando era conveniente a sus intereses movilizaba a las fuerzas populares: artesanos, campesinos, obreros y/o capas medias. Los conservadores con la Iglesia católica como aliada se enfrentaba a los liberales y sus cuadros masones, mientras que EEUU consolidaba posiciones dentro de la estructura política. Cuando Washington le daba prioridad a sus intereses mineros se aliaba a los liberales enemigos de los terratenientes conservadores.

Bolívar en 1825 anunció las intenciones de EEUU en la Carta de Jamaica. Un año más tarde fue enfático en sus discusiones con Santander sobre la inconveniencia de invitar a Washington al Congreso Anfictiónico que se celebró en la ciudad de Panamá.

En 1888 Washington convocó a una reunión ‘Panamericana’ para allanar el camino que le permitiera convertirse en eje comercial en toda la región. Después de la segunda guerra mundial sometió a todos los países (no sin algunas protestas) a los dictados de la Organización de Estados Americanos (OEA). Para asegurar su hegemonía política en el mundo – particularmente en América latina – levantó como amenaza a la Unión Soviética. Mediante esta estrategia, junto con sus aliados oligárquicos en la región, organizó un sistema político que le permitió reprimir y subordinar a los trabajadores – especialmente los obreros y campesinos – para súper explotarlos.

La resistencia a los planes de dominación norteamericana por parte de los pueblos latinoamericanos obligó a EEUU a imponer dictaduras militares para continuar extrayendo ganancias extraordinarias de la región. Cuba fue el único país latinoamericano en el siglo XX que logró liberarse del yugo político de las grandes corporaciones norteamericanas y los militares locales.

La crisis del capitalismo norteamericano y el modelo neoliberal a fines del siglo XX produjo un cambio en el ordenamiento político. A la nueva correlación de fuerzas contribuyó el colapso del experimento soviético en Europa. Una nueva oligarquía financiera se apoderó del Estado y de los partidos políticos, tanto de derecha como los de izquierda. El PRI (México), PS (Chile), Justicialista (Argentina), PSDB (Brasil), PRD (Panamá) y otros asumieron el proyecto neoliberal como solución única a los problemas de la región. Compitieron por el favor de las corporaciones y sus clientes electorales en las campañas electorales.

Este cuadro fue resquebrajado cuando aparecieron, en el marco del vació creado por la vieja ‘izquierda’, el PT (Brasil), el ala izquierda del Justicialismo (Argentina), la Nueva República/PSUV (Venezuela), el Movimiento Ciudadano (Ecuador) y el Frente Amplio (Uruguay). En Centro América, los frentes militares de liberación nacional de las décadas de 1970 y 1980 - FSLN y FMLN - llegaron al poder mediante elecciones a principios del siglo XXI.

Los países del ALBA logran mantener, a pesar de los ataques de EEUU, un frente común, con mucha autonomía. En cambio, las otras izquierdas en el poder tuvieron que negociar con Washington para conservar los espacios necesarios para seguir gobernando.

EEUU no abandonó sus tácticas golpistas. En 2007 derrocó a Mel Zelaya en Honduras e igual a Lugo en 2012 en Paraguay. En 2002 organiza un golpe militar-corporativo que es frustrado contra el presidente Chávez en Venezuela. Desde aquella fecha EEUU no ha dejado de desestabilizar y amenazar con intervenciones militares al gobierno venezolano, presidido por Nicolás Maduro.

Los golpes militares de EEUU en América latina representan cambios radicales en la correlación de fuerzas. En el siglo XX tuvieron tres ejes. El primero fue en la primera mitad de ese siglo, cuando colapsó el sistema capitalista mundial (la recesión) y EEUU quiso asegurar su dominación. Durante la segunda guerra mundial EEUU maniobró para conservar a la región como proveedora de materias primas y bienes industriales para el esfuerzo bélico. El tercer momento fue consecuencia de la ola de movimientos de un proletariado maduro que sacudieron los cimientos políticos de la región y fueron reprimidos violentamente a partir de la década de 1960.

EEUU también ha recurrido a los magnicidios para deshacerse de líderes políticos que ponían en peligro su hegemonía: Gaitán en Colombia, Jaime Roldós en Ecuador, Torrijos en Panamá, Allende en Chile y probablemente Chávez en Venezuela.
La hegemonía cultural
El consumismo es la ideología que logra mantener la cohesión social en EEUU, América latina y en el resto del mundo. El consumismo es la ideología del sistema capitalista que le permite mantener su control sobre la población. Por un lado, el consumismo iguala a todos los miembros de la sociedad capitalista convirtiéndolos en aspirantes a ser partes del mercado. Por otro lado, el consumismo crea condiciones para promover la competencia entre los individuos. El logro más acabado del consumismo es su capacidad para borrar las líneas clasistas que son la preocupación principal de los sectores dominantes.

El consumismo tiene dos bases claves para que pueda funcionar. Por un lado, los trabajadores asalariados. Sin esta clase de trabajadores, el consumismo se reduce a un pequeño círculo de rentistas y capitalistas. El consumismo, en la terminología de la clase dominante, produce una ‘clase media’. El consumidor de mercancías (producidas por trabajadores asalariados) es miembro de la ‘clase media’. No importa de qué sector de la sociedad provenga.

Por el otro, el consumismo requiere de una poderosa máquina publicitaria que divulgue cuales son las mercancías en oferta y, además, que estimule el consumo por parte de los trabajadores. El consumo debe superar el ingreso de los trabajadores (salario) para crear una economía virtual basada en la deuda y la especulación.

EEUU logró crear esta economía basada en instrumentos especulativos a principios del siglo XX. Consolidó el modelo en el período posterior a la segunda guerra mundial (1945-1975). A partir de esta última fecha, inició la construcción de una economía virtual mediante la subordinación del sector productivo del capitalismo al sector de las finanzas (especulativo).

El mundo y América latina ha sido objeto de un proceso de financiación de sus economías. En el siglo XIX la penetración del capitalismo norteamericano creó un mercado agro-minero de enormes dimensiones. Posteriormente, en el siglo XX, mediante la exportación de tecnología industrial el capital norteamericano creó burguesías nacionales dependientes y una clase obrera combativa. En la actualidad, el llamado mercado ‘virtual’ de un capital norteamericano financiero se ha apoderado de las economías destruyendo la burguesía nacional y debilitando la clase obrera.

La nueva fase de la acumulación capitalista necesita conservar la ideología consumista para no perder su hegemonía cultural. El consumismo ha invadido todos los espacios de la sociedad latinoamericana: La familia, la educación, las iglesias, la comunidad, los partidos políticos y las demás instituciones sociales. En la actual fase del desarrollo capitalista, quienes no consumen son expulsados, marginados y virtualmente desaparecidos. Para existir hay que consumir. Consumo, luego soy. Mi identidad se relaciona directamente a mi status de consumidor.

EEUU controla casi todos los resortes del consumo de mercancías. Incluso, los productos que se consumen pueden ser ‘producto nacional’ o ‘Made in China’, pero reproduce la ideología norteamericana y el ‘American Way of Life’. A fines del siglo XX, el ideólogo Henry Kissinger se preocupaba de la creciente influencia del Fútbol europeo y su impacto sobre América latina y el resto del mundo. Después de la crisis de 2008 y el colapso del proyecto europeo estará descansando más tranquilo.

El modelo chino le quita un poco más de sueño en la actualidad. Sin embargo, China pretende sustituir a EEUU a largo plazo (¿siglo XXII?) no pretende presentar una alternativa. A pesar de los defectos del modelo soviético del siglo XX, contenía los elementos ideológicos de una alternativa: el socialismo.

La ideología del socialismo se diferencia del capitalismo en un aspecto fundamental: Mientras que el último se basa en el consumismo competitivo, el primero tiene como ideal la solidaridad. En teoría en el socialismo no hay espacio alguno para la acumulación. Como consecuencia, es imposible que surja un modelo financista de sociedad (especulación).

La surcoreana Samsung es la empresa que más gasta en publicidad en el mundo. Un total de 14 mil millones de dólares. En 2013 las empresas capitalistas de EEUU gastaron 100 mil millones de dólares en publicidad. La compañía Procter & Gamble invirtió 5 mil millones en ese año. Más del 40 por ciento de lo gastado en EEUU se hace a través de la televisión (cable, al aire y otras).

La participación de EEUU en la publicidad global está disminuyendo. Sin embargo, aún domina - con un 33 por ciento del total - el negocio de la publicidad. China que hace 20 años apenas llegaba al uno por ciento, en 2013 representaba cerca del 9 por ciento. América latina tiene el 7 por ciento del mercado publicitario. El 40 por ciento del presupuesto total de cerca de 40 mil millones de dólares anuales en publicidad en América latina se concentra en Brasil. El crecimiento de los gastos en publicidad en América latina es más rápido que en el resto del mundo. En 2016 se calcula que se gastarán 31 mil millones en la región sólo en internet, comparado a 17 mil millones en 2011. En televisión pasaría de 20 mil millones a 30 mil millones de dólares en 2016. En los periódicos impresos, aumentaría de 8 mil millones a 10 mil millones de dólares.

La economía real mundial produce cerca de xxx millones de millones. La inversión en publicidad representa xxx mil millones. Un xx por ciento.
La fuerza militar
La coyuntura nos presenta un mundo capitalista convulsionado, con la potencia hegemónica agonizando - pero dominante - y una América latina insurreccional. ¿Estamos frente a algo parecido a la crisis que sacudió el continente hace dos siglos, las llamadas guerras de liberación (1808-1825) o más bien una recreación de la fractura que sufrió la región al perder sus mercados imperiales en el siglo XX?
La crisis de hegemonía de EEUU consume parte importante de los debates actuales. Hay quienes como el profesor Nye (de la Universidad de Harvard) quien cuestiona y niega la existencia de la crisis de hegemonía. Es un destacado autor de la Escuela del Siglo Americano (Bush, Cheney y CIA). Los conflictos que Nye ve en el mundo en esta coyuntura son signos de la hegemonía norteamericana. Los interpreta como resultado del poderío militar norteamericano.

Poderío militar, sin embargo, que ha dejado de tener una base social capaz de reproducirse. En su lugar pareciera que se forma y consolida otro eje hegemónico (euroasiático) capaz de reproducir por un nuevo período el sistema capitalista de acumulación. Al igual que en el pasado, tendrá que resolver la crisis ambiental, la crisis alimentaria y la crisis energética. ¿Tendrá capacidad para enfrentar el reto en las primeras décadas del presente siglo?

Nye no considera que son problemas que debe enfrentar la reproducción del capitalismo. Como asesor de los últimos cuatro presidentes  de EEUU, reduce la cuestión al poderío militar, a la producción de armas y a la conquista de fuentes energéticas (para bloquear su libre acceso por parte de sus competidores). Fuentes que no están distribuidas por azar - en gran parte - precisamente en el Medio Oriente, Rusia y el Gran Caribe (Venezuela).

EEUU es uno de sólo tres países en el mundo que no han ratificado la Convención Interamericana contra la producción y el tráfico ilícito de armas de fuego y explosivos. El Convenio promueve la prohibición de la manufactura illegal de armas y el intercambio de información. El Convenio fue firmado por el president Clinton en 1997 sin ser aprobado por el Senado de ese país. Igualmente, EEUU aun no ratifica el Tratado sobre el Comercio de Armas de la ONU de 2013.

En la Cumbre de las Américas de 2012, la gran mayoría de los presidentes plantearon un enfoque distinto a la Guerra contra las drogas. También le pidieron a EEUU que controlara las redes criminales, el tráfico ilegal de armas y reforzar sus leyes contra el uso indiscriminado de armas. Sin duda, la paciencia de los países latinoamericanos y la falta de credibilidad por parte de EEUU están creando un ambiente contrario a Washington.

761 bases militares de EEUU en el mundo

EEUU mantiene tropas en más de 560 bases y otros sitios en el exterior. En total tiene 761 'lugares' militares activos en países extranjeros. En los recuentos del ejército norteamericano de los puestos de avanzada en el exterior, tiene bajo su control unos 52 mil edificios y más de 38 mil elementos de infraestructuras pesadas como muelles, embarcaderos y gigantescos almacenes.

En América latina cuenta con 50 bases militares conocidas.

Veamos la lista

Argentina: 2 Bases

La base Aérea y Naval, en el archipiélago de Malvinas ocupado colonialmente por Gran Bretaña, la Fortaleza de la OTAN en Mount Pleasant, Isla Soledad, cuya pista mayor tiene una longitud de 2.600 metros.

La base Aérea, El ex gobernador de Tierra del Fuego, en la localidad de Tolhuin. 

En febrero de 2012 se hizo pública en la provincia del Chaco, la instalación de un Centro Anti catástrofes y Ayuda Humanitaria, financiado por el Comando Sur de EEUU. Funcionaría en el Aeropuerto Internacional de Resistencia, capital de Chaco. El Centro dispondría de un radar y equipos de comunicación que habilitaría el lugar como un centro de control y espionaje que cubriría cuatro países del Cono Sur.

Aruba: 1 Base  

Base aérea Reina Beatriz.

Bolivia: No hay bases militares extranjeras. La Constitución Política del Estado aprobada durante el gobierno de Evo Morales lo prohíbe expresamente.

Colombia: 8 Bases EEUU

La base Aérea de Apiay, en el Departamento del Meta;

La base Aérea de Malambo, ubicada en el área metropolitana de Barranquilla;

La base Aérea de Palanquero, situada en Puerto Salgar,  en el departamento (provincia) de Cundinamarca, que cuenta con una pista de aterrizaje de 3500 metros;

La base Aérea de Tolemaida, en Melgar, Tolima, es el fuerte militar mas grande de Latinoamérica y tiene una importante fuerza de despliegue rápido;

La base Naval de Bahía Málaga, en el Pacifico colombiano, cerca de Buenaventura;

La base Naval de Cartagena, en la costa del mar Caribe.

A ellas se suman:

La Base aérea de Tres Esquinas ubicada en el Departamento de Caquetá.

La base Aérea Larandia, en el mismo Departamento.

El puerto de Turbo (muy cercano a la frontera con Panamá) se utiliza para el aprovisionamiento de la IV Flota.

Costa Rica: 2 Bases EEUU

La base Aérea y Naval de EEUU en Liberia. En 2010 el Congreso nacional autorizó el desembarco de miles de soldados norteamericanos en medio de un conflicto entre Costa Rica y Nicaragua.

La base Naval localidad en Caldera.  El subcomandante del Ejército Sur norteamericano, Paul Trivelli, informó sobre la inversión de 15 millones de dólares en una base naval que se construyó en la localidad de Caldera, provincia de Puntarenas. Allí funcionará, además, una escuela para el adiestramiento de oficiales de guardacostas. 

Cuba: 1 La base Aérea y Naval usurpada por EEUU en Guantánamo

Curazao: 1 base Aérea de EEUU Hato Rey

Chile: 1 base Aérea y Naval con autorización del gobierno de Sebastián Piñera se instaló en el Fuerte Aguayo, en Concón, cerca de Valparaíso, una base militar de EEUU. Bajo la denominación de que sirve para “ejecutar operaciones de mantención de la paz o de estabilidad civil”, según indica la Embajada norteamericana. El acuerdo insiste en la lógica de que las Fuerzas Armadas deben intervenir en conflictos sociales o “estabilidad civil”.

Ecuador: con la retirada de EEUU de la Base de Manta, no existirían bases militares extranjeras en el país.

El Salvador: 1 base Aérea en Comalapa, muy próxima al Aeropuerto internacional de San Salvador.

Guadalupe: 2 bases Aéreas y Navales de Francia y la OTAN. Guadalupe, en el mar Caribe, es un departamento de ultramar de Francia. En Guadalupe, a 600 km al norte de las costas de América del Sur y al sureste de la República Dominicana, se encuentra el 41º Batallón francés de la Infantería de Marina, además de aviones, helicópteros y efectivos de la Fuerza Aérea.

Guatemala: no hay información sobre bases militares extranjeras pero sabemos que se ha extendido a este país la militarización del combate anti drogas (Iniciativa Mérida) que se viene aplicando en México, con una presencia constante de tropas USA.

Guayana Francesa: 3 bases. En este territorio (remanente colonial francés en América del Sur) se concentran tropas principalmente en Cayena, San Juan de Maroni y otros lugares. Pero la más importante es la Base Aeroespacial francesa en Kourou, ahora gestionada por la Agencia Espacial Europea. Sus instalaciones son de las más avanzadas del mundo en la función que desempeña. Está preparada para el lanzamiento de satélites con objetivos diversos. El radar ubicado en Troubiran y la Base Aeroespacial permiten la observación y el control de todos los países de la región. Con la llegada del satélite militar Galileo, Francia cuenta en Guayana con 40.000 barbouzes (agentes no oficiales), jubilados en actividad bajo el comando del Estado Mayor de las fuerzas armadas y los servicios de inteligencia destacados en Guayana, en capacidad de intervenir contra independentistas guayaneses.

Haití: 1 base Aérea y Naval.  Además de la presencia, desde 2004, de la MINUSTAH, se registra una presencia de tropas de EEUU cuyo número no se ha podido determinar, así como el atraque de naves de la IV Flota. Desde la invasión de más de 20.000 efectivos, con motivo del terremoto de enero de 2010, organizaciones de Haití vienen denunciando que han quedado remanentes de esas tropas y que todo su territorio puede considerarse una gran base militar extranjera.

Honduras: 3 bases
base Aérea estadounidense Soto Cano, en Palmerola, con una pista de 2.600 metros;  
base Aérea,  en Puerto Lempira, sobre la laguna Caratasca, en el Departamento Gracias a Dios, próxima a la costa del Mar Caribe;
base Aérea en Guanaja, Departamento Islas de la Bahía, en el Caribe.

Martinica: 2 bases Francesas OTAN.

El caso de Martinica es similar al de Guadalupe, con por lo menos dos bases francesas (OTAN). En el lugar, el Ejército francés cuenta con más de 1.000 efectivos permanentes, incluyendo el 33º Regimiento de Infantería con sede en la capital Fort de France. Allí además se encuentra estacionada la Marina de Guerra con 500 efectivos y los equipos necesarios. El país es una base de apoyo de la mayor importancia para la vigilancia, la inteligencia y las intervenciones militares en la región, (junto con Guadalupe, Martinica ha servido como escala durante la Guerra de las Malvinas y la invasión de Granada; además, Francia y EE.UU. organizan regularmente maniobras militares conjuntas).

México: 2 bases

La militarización de la lucha anti drogas con la intervención directa de los Estados Unidos ha dejado en los últimos años en este país decenas de miles de muertos.

La Iniciativa Mérida, firmada en 2008 entre los presidentes Bush y Calderón  implica, según los acuerdos firmados, entrenamiento de las fuerzas militares mexicanas por parte de EEUU, la venta del armamento necesario y la estrategia militar para el control del Estado el sobrevuelo sobre todo el territorio de aviones espía no tripulados y la injerencia  de tropas de Washington en la seguridad interna del país.

En mayo de 2011 la creación de dos bases militares en la frontera con Guatemala.

Estas dos nuevas bases militares están situadas en Chiquimosuelo y Jiquipilas, por recomendación de la DEA. Esto sumado a los catorce mil militares ya existentes en Chiapas. La Defensa Nacional asegura que México está “ocupada” por los organismos de seguridad de EEUU.

Panamá: 12 bases aeronavales en ambas costas.

Sobre el Pacífico:
1) base Aérea y Naval Isla de Chapera
2) base Aérea y Naval Bahía o Puerto Piña en Darién
3) base Aérea y Naval Quebrada de Piedra en Chiriquí
4) base Aérea y Naval Rambala, en Bocas del Toro
5) base Aérea y Naval Punta Coco, en el Archipiélago de las Perlas;
6) base Aérea y Naval Isla Galera;
7) base Aérea y Naval Mensabé, en Los Santos;
8) Isla de Coiba, en Veraguas.

Sobre el Caribe:
9) base Aérea y Naval Sherman, en Colón
10) base Aérea y Naval El Porvenir, en Kuna Yala
11) base Aérea y Naval Puerto Obaldía, en Kuna Yala
12) base Aérea y Naval San Vicente, en Metetí, Prov. de Darién, cercana a la frontera con Colombia.

Además de las 12 bases antes enumeradas denuncias, sobre otras bases militares proyectadas (respecto a las cuales necesitamos más información) en:
La Palma (Pacífico), provincia de Darién;
Isla Grande (Caribe), provincia de Colón;
Yaviza, provincia de Darién y
Estación Naval Rodman (Pacífico) en la entrada del Canal de Panamá.

Paraguay: 2 bases Aérea

base Aérea En Mariscal Estigarribia, en el Chaco paraguayo, con instalaciones para albergar a varios miles de soldados y una pista de 3.800 metros de longitud. bases Aérea en  Pedro Juan Caballero (Base de la DEA estadounidense) en la frontera con Brasil.

Perú: 3 bases Aéreas y Naval
tres bases militares de EEUU
bases Aérea Iquitos,
bases Aérea Nanay y Santa Lucía. Sobre esta última ubicada sobre el Río Huallaga (Alto Huallaga) faltan precisiones e  información reciente.

 Base Naval. El gobierno peruano ha autorizado a EEUU el uso de instalaciones portuarias para aprovisionamiento de la IV Flota en cercanías del puerto de El Callao.

Por otra parte, en virtud de los acuerdos entre el Gobierno peruano y los Estados Unidos, a partir de 2006 ambos Estados incrementaron sus acciones de cooperación militar en el entendimiento común de que el “narcoterrorismo” constituye una “amenaza asimétrica” que justificaría la asistencia militar de Estados Unidos “sin condicionamientos”. 

República Dominicana: 1 base

base naval patrocinada por el Gobierno de EE.UU. en la isla de Saona, en el extremo sureste del país.

Puerto Rico

Puerto Rico es considerado por EEUU como un “Estado Libre Asociado”. La isla fue ocupada militarmente en 1898 como botín de guerra después de la independencia de Cuba.

 (Fuente: Guillermo Saavedra)


Intervenciones militares más recientes de EEUU en América latina (2015)

Independiente de la política contraria a los intereses de todos los países de la región, EEUU continúa interviniendo militarmente en la región. En 2015 aumentó su presencia militar en Honduras, Perú y México.

Honduras: Hace apenas una semana, el 1º de abril, la base militar Palmerola que opera EEUU en Honduras recibió una nueva unidad llamada Task Force for Special Purposes (“Fuerza de Tarea de Propósito Especial Aire-Tierra de Marines-Sur”). Según el sitio defensa.com, contará con 250 efectivos, al menos cuatro helicópteros pesados, un moderno catamarán de alta velocidad y otros medios y armas. La misma publicación agrega que la fuerza se utilizará para misiones de colaboración con países del área, de asistencia humanitaria y operaciones antidrogas.

La ‘unidad especial’ estará lista para entrar en operaciones en la región entre junio y noviembre de 2015. La base de Palmerola -a 86 kilómetros de la capital hondureña de Tegucigalpa- es considerada una de las más importantes de EEUU en la región y alberga a unos 500 soldados norteamericanos de manera permanente. La nueva ‘fuerza de tarea’ forma parte de la red que coordina el Comando Sur de Estados Unidos, cuya sede está en el sur de Florida. La víspera del anuncio del despliegue del nuevo contingente de EEUU en Honduras, el secretario general de la Unión de Naciones Suramericanas, Ernesto Samper, propuso eliminar las bases militares de ese país en la región. Las calificó como residuos de "la época de la Guerra Fría".

Perú: Washington incrementará el contingente militar a 3. 200 soldados. Según declaraciones oficiales, el aumento servirá para mejorar en la lucha conjunta con los soldados de la Marina peruana contra los insurgentes y narcotraficantes, informa Defensa.com. La información del Departamento de Defensa de EEUU dice que “las fuerzas peruanas se enfrentan regularmente con el grupo guerrillero Sendero Luminoso, y Lima ha manifestado que requiere de al menos 2.500 efectivos para redoblar la presencia policial en las zonas menos accesibles”.

Según el investigador principal del Instituto del Perú, Miguel Santillana, la iniciativa de EEUU se fundamenta en su interés por conservar su presencia militar en Sudamérica, a expensas del pueblo peruano. “Los norteamericanos tienen una presencia en Perú como en cualquier país de América Latina porque sienten que somos su zona de influencia. Ellos se sienten con el derecho de tener presencia oficial y no oficial en nuestro territorio”, dijo Santillana a la cadena Russia Today. El congreso peruano autorizó el ingreso de tropas extranjeras a territorio nacional el 29 de enero de 2015. Las tropas norteamericanas llegarán al Perú en tres etapas. El primer contingente, compuesto por 58 soldados, desembarcó en territorio peruano el pasado 1º de febrero, dos días después de recibir el permiso del Congreso. El segundo, formado por 67 soldados, llegó el  15 de marzo. El tercer contingente, en total 3.200 soldados norteamericanos, llegara el 1º setiembre de 2015.

México: A principios de 2015 México anunció que comprará aeronaves y vehículos militares de EEUU, por un monto de 1,441 millones de dólares, lo que representa la quinta parte del presupuesto anual de la defensa mexicana. La venta de vehículos y aeronaves, que fue autorizada por el Departamento de Estado, incluye 3,335 automotores todo terreno Humvee, a un costo de 556 millones de dólares. Se trata de casi el mismo número de vehículos que Afganistán adquirió en 2011. Además, se autorizó la compra de 23 helicópteros Blackhawk por un monto de 905 millones de dólares, así como la adquisición de un lote de aviones de entrenamiento Beechcraft T-6C Texan II por un monto de 480 millones de dólares, señala la Agencia de Cooperación en Defensa de Seguridad del Pentágono. Por el monto de las compras, México se ubica en el primer lugar de América Latina y el Caribe que realizan adquisiciones militares a Estados Unidos, según información de la Agencia y la Security Assistance Monitor.

Ventas de armas de EEUU a América latina 2005-2010

Entre 2005 y 2010 la venta de armas casi se duplicó. En 2005 EEUU vendía a los países de la región mil millones de dólares en armas. En 2010 la suma llegó a 1.7 mil millones de dólares. En el período señalado EEUU vendió un total de 9.2 mil millones de dólares a América latina. Cifras extraoficiales colocan las ventas de armas de EEUU a los países latinoamericanos entre 2011 y 2014 en otros 15 mil millones.

Ventas de armas de EEUU a América latina 2005-2010

 (en dólares)
2005  1,071,212,054
2006  1,435,276,238
2007  1,194,534,296
2008  1,921,083,254
2009  1,898,858,064
2010  1,726,581,395

TOTAL  9,247,545,301

Sólo México compró 3.2 mil millones de dólares en armas entre 2005 y 2010. Le siguió Colombia con 2 mil millones. Entre los dos países representaban la mitad de todas las ventas de EEUU en la región latinoamericana.

Según importancia, seguían Chile (1.2 millones) y Brasil (mil millones de dólares). Para completar los diez países que más armas le vendía EEUU en la región latinoamericana estaban Argentina (340 millones), Perú (260 millones), Rep. Dominicana (150 millones), Costa Rica (88 millones), Panamá (65.8 millones) y Venezuela (65.2 millones).

Costa Rica y Panamá no tienen ejércitos según sus respectivas Constituciones Políticas.                               


- Marco A. Gandásegui, hijo
 Profesor de Sociología de la Universidad de Panamá e investigador asociado del CELA

_____
Cumbre de los Pueblos, Universidad de Panamá, 10 de abril de 2015.
Mesa 1: “América Latina: Región de paz acosada por EEUU”
Coordinación: Marco A. Gandásegui, hijo

http://www.alainet.org/es/articulo/168896
ando la clase obrera.

La nueva fase de la acumulación capitalista necesita conservar la ideología consumista para no perder su hegemonía cultural. El consumismo ha invadido todos los espacios de la sociedad latinoamericana: La familia, la educación, las iglesias, la comunidad, los partidos políticos y las demás instituciones sociales. En la actual fase del desarrollo capitalista, quienes no consumen son expulsados, marginados y virtualmente desaparecidos. Para existir hay que consumir. Consumo, luego soy. Mi identidad se relaciona directamente a mi status de consumidor.

EEUU controla casi todos los resortes del consumo de mercancías. Incluso, los productos que se consumen pueden ser ‘producto nacional’ o ‘Made in China’, pero reproduce la ideología norteamericana y el ‘American Way of Life’. A fines del siglo XX, el ideólogo Henry Kissinger se preocupaba de la creciente influencia del Fútbol europeo y su impacto sobre América latina y el resto del mundo. Después de la crisis de 2008 y el colapso del proyecto europeo estará descansando más tranquilo.

El modelo chino le quita un poco más de sueño en la actualidad. Sin embargo, China pretende sustituir a EEUU a largo plazo (¿siglo XXII?) no pretende presentar una alternativa. A pesar de los defectos del modelo soviético del siglo XX, contenía los elementos ideológicos de una alternativa: el socialismo.

La ideología del socialismo se diferencia del capitalismo en un aspecto fundamental: Mientras que el último se basa en el consumismo competitivo, el primero tiene como ideal la solidaridad. En teoría en el socialismo no hay espacio alguno para la acumulación. Como consecuencia, es imposible que surja un modelo financista de sociedad (especulación).

La surcoreana Samsung es la empresa que más gasta en publicidad en el mundo. Un total de 14 mil millones de dólares. En 2013 las empresas capitalistas de EEUU gastaron 100 mil millones de dólares en publicidad. La compañía Procter & Gamble invirtió 5 mil millones en ese año. Más del 40 por ciento de lo gastado en EEUU se hace a través de la televisión (cable, al aire y otras).

La participación de EEUU en la publicidad global está disminuyendo. Sin embargo, aún domina - con un 33 por ciento del total - el negocio de la publicidad. China que hace 20 años apenas llegaba al uno por ciento, en 2013 representaba cerca del 9 por ciento. América latina tiene el 7 por ciento del mercado publicitario. El 40 por ciento del presupuesto total de cerca de 40 mil millones de dólares anuales en publicidad en América latina se concentra en Brasil. El crecimiento de los gastos en publicidad en América latina es más rápido que en el resto del mundo. En 2016 se calcula que se gastarán 31 mil millones en la región sólo en internet, comparado a 17 mil millones en 2011. En televisión pasaría de 20 mil millones a 30 mil millones de dólares en 2016. En los periódicos impresos, aumentaría de 8 mil millones a 10 mil millones de dólares.

La economía real mundial produce cerca de xxx millones de millones. La inversión en publicidad representa xxx mil millones. Un xx por ciento.
La fuerza militar
La coyuntura nos presenta un mundo capitalista convulsionado, con la potencia hegemónica agonizando - pero dominante - y una América latina insurreccional. ¿Estamos frente a algo parecido a la crisis que sacudió el continente hace dos siglos, las llamadas guerras de liberación (1808-1825) o más bien una recreación de la fractura que sufrió la región al perder sus mercados imperiales en el siglo XX?
La crisis de hegemonía de EEUU consume parte importante de los debates actuales. Hay quienes como el profesor Nye (de la Universidad de Harvard) quien cuestiona y niega la existencia de la crisis de hegemonía. Es un destacado autor de la Escuela del Siglo Americano (Bush, Cheney y CIA). Los conflictos que Nye ve en el mundo en esta coyuntura son signos de la hegemonía norteamericana. Los interpreta como resultado del poderío militar norteamericano.

Poderío militar, sin embargo, que ha dejado de tener una base social capaz de reproducirse. En su lugar pareciera que se forma y consolida otro eje hegemónico (euroasiático) capaz de reproducir por un nuevo período el sistema capitalista de acumulación. Al igual que en el pasado, tendrá que resolver la crisis ambiental, la crisis alimentaria y la crisis energética. ¿Tendrá capacidad para enfrentar el reto en las primeras décadas del presente siglo?

Nye no considera que son problemas que debe enfrentar la reproducción del capitalismo. Como asesor de los últimos cuatro presidentes  de EEUU, reduce la cuestión al poderío militar, a la producción de armas y a la conquista de fuentes energéticas (para bloquear su libre acceso por parte de sus competidores). Fuentes que no están distribuidas por azar - en gran parte - precisamente en el Medio Oriente, Rusia y el Gran Caribe (Venezuela).

EEUU es uno de sólo tres países en el mundo que no han ratificado la Convención Interamericana contra la producción y el tráfico ilícito de armas de fuego y explosivos. El Convenio promueve la prohibición de la manufactura illegal de armas y el intercambio de información. El Convenio fue firmado por el president Clinton en 1997 sin ser aprobado por el Senado de ese país. Igualmente, EEUU aun no ratifica el Tratado sobre el Comercio de Armas de la ONU de 2013.

En la Cumbre de las Américas de 2012, la gran mayoría de los presidentes plantearon un enfoque distinto a la Guerra contra las drogas. También le pidieron a EEUU que controlara las redes criminales, el tráfico ilegal de armas y reforzar sus leyes contra el uso indiscriminado de armas. Sin duda, la paciencia de los países latinoamericanos y la falta de credibilidad por parte de EEUU están creando un ambiente contrario a Washington.

761 bases militares de EEUU en el mundo

EEUU mantiene tropas en más de 560 bases y otros sitios en el exterior. En total tiene 761 'lugares' militares activos en países extranjeros. En los recuentos del ejército norteamericano de los puestos de avanzada en el exterior, tiene bajo su control unos 52 mil edificios y más de 38 mil elementos de infraestructuras pesadas como muelles, embarcaderos y gigantescos almacenes.

En América latina cuenta con 50 bases militares conocidas.

Veamos la lista

Argentina: 2 Bases

La base Aérea y Naval, en el archipiélago de Malvinas ocupado colonialmente por Gran Bretaña, la Fortaleza de la OTAN en Mount Pleasant, Isla Soledad, cuya pista mayor tiene una longitud de 2.600 metros.

La base Aérea, El ex gobernador de Tierra del Fuego, en la localidad de Tolhuin. 

En febrero de 2012 se hizo pública en la provincia del Chaco, la instalación de un Centro Anti catástrofes y Ayuda Humanitaria, financiado por el Comando Sur de EEUU. Funcionaría en el Aeropuerto Internacional de Resistencia, capital de Chaco. El Centro dispondría de un radar y equipos de comunicación que habilitaría el lugar como un centro de control y espionaje que cubriría cuatro países del Cono Sur.

Aruba: 1 Base  

Base aérea Reina Beatriz.

Bolivia: No hay bases militares extranjeras. La Constitución Política del Estado aprobada durante el gobierno de Evo Morales lo prohíbe expresamente.

Colombia: 8 Bases EEUU

La base Aérea de Apiay, en el Departamento del Meta;

La base Aérea de Malambo, ubicada en el área metropolitana de Barranquilla;

La base Aérea de Palanquero, situada en Puerto Salgar,  en el departamento (provincia) de Cundinamarca, que cuenta con una pista de aterrizaje de 3500 metros;

La base Aérea de Tolemaida, en Melgar, Tolima, es el fuerte militar mas grande de Latinoamérica y tiene una importante fuerza de despliegue rápido;

La base Naval de Bahía Málaga, en el Pacifico colombiano, cerca de Buenaventura;

La base Naval de Cartagena, en la costa del mar Caribe.

A ellas se suman:

La Base aérea de Tres Esquinas ubicada en el Departamento de Caquetá.

La base Aérea Larandia, en el mismo Departamento.

El puerto de Turbo (muy cercano a la frontera con Panamá) se utiliza para el aprovisionamiento de la IV Flota.

Costa Rica: 2 Bases EEUU

La base Aérea y Naval de EEUU en Liberia. En 2010 el Congreso nacional autorizó el desembarco de miles de soldados norteamericanos en medio de un conflicto entre Costa Rica y Nicaragua.

La base Naval localidad en Caldera.  El subcomandante del Ejército Sur norteamericano, Paul Trivelli, informó sobre la inversión de 15 millones de dólares en una base naval que se construyó en la localidad de Caldera, provincia de Puntarenas. Allí funcionará, además, una escuela para el adiestramiento de oficiales de guardacostas. 

Cuba: 1 La base Aérea y Naval usurpada por EEUU en Guantánamo

Curazao: 1 base Aérea de EEUU Hato Rey

Chile: 1 base Aérea y Naval con autorización del gobierno de Sebastián Piñera se instaló en el Fuerte Aguayo, en Concón, cerca de Valparaíso, una base militar de EEUU. Bajo la denominación de que sirve para “ejecutar operaciones de mantención de la paz o de estabilidad civil”, según indica la Embajada norteamericana. El acuerdo insiste en la lógica de que las Fuerzas Armadas deben intervenir en conflictos sociales o “estabilidad civil”.

Ecuador: con la retirada de EEUU de la Base de Manta, no existirían bases militares extranjeras en el país.

El Salvador: 1 base Aérea en Comalapa, muy próxima al Aeropuerto internacional de San Salvador.

Guadalupe: 2 bases Aéreas y Navales de Francia y la OTAN. Guadalupe, en el mar Caribe, es un departamento de ultramar de Francia. En Guadalupe, a 600 km al norte de las costas de América del Sur y al sureste de la República Dominicana, se encuentra el 41º Batallón francés de la Infantería de Marina, además de aviones, helicópteros y efectivos de la Fuerza Aérea.

Guatemala: no hay información sobre bases militares extranjeras pero sabemos que se ha extendido a este país la militarización del combate anti drogas (Iniciativa Mérida) que se viene aplicando en México, con una presencia constante de tropas USA.

Guayana Francesa: 3 bases. En este territorio (remanente colonial francés en América del Sur) se concentran tropas principalmente en Cayena, San Juan de Maroni y otros lugares. Pero la más importante es la Base Aeroespacial francesa en Kourou, ahora gestionada por la Agencia Espacial Europea. Sus instalaciones son de las más avanzadas del mundo en la función que desempeña. Está preparada para el lanzamiento de satélites con objetivos diversos. El radar ubicado en Troubiran y la Base Aeroespacial permiten la observación y el control de todos los países de la región. Con la llegada del satélite militar Galileo, Francia cuenta en Guayana con 40.000 barbouzes (agentes no oficiales), jubilados en actividad bajo el comando del Estado Mayor de las fuerzas armadas y los servicios de inteligencia destacados en Guayana, en capacidad de intervenir contra independentistas guayaneses.

Haití: 1 base Aérea y Naval.  Además de la presencia, desde 2004, de la MINUSTAH, se registra una presencia de tropas de EEUU cuyo número no se ha podido determinar, así como el atraque de naves de la IV Flota. Desde la invasión de más de 20.000 efectivos, con motivo del terremoto de enero de 2010, organizaciones de Haití vienen denunciando que han quedado remanentes de esas tropas y que todo su territorio puede considerarse una gran base militar extranjera.

Honduras: 3 bases
base Aérea estadounidense Soto Cano, en Palmerola, con una pista de 2.600 metros;  
base Aérea,  en Puerto Lempira, sobre la laguna Caratasca, en el Departamento Gracias a Dios, próxima a la costa del Mar Caribe;
base Aérea en Guanaja, Departamento Islas de la Bahía, en el Caribe.

Martinica: 2 bases Francesas OTAN.

El caso de Martinica es similar al de Guadalupe, con por lo menos dos bases francesas (OTAN). En el lugar, el Ejército francés cuenta con más de 1.000 efectivos permanentes, incluyendo el 33º Regimiento de Infantería con sede en la capital Fort de France. Allí además se encuentra estacionada la Marina de Guerra con 500 efectivos y los equipos necesarios. El país es una base de apoyo de la mayor importancia para la vigilancia, la inteligencia y las intervenciones militares en la región, (junto con Guadalupe, Martinica ha servido como escala durante la Guerra de las Malvinas y la invasión de Granada; además, Francia y EE.UU. organizan regularmente maniobras militares conjuntas).

México: 2 bases

La militarización de la lucha anti drogas con la intervención directa de los Estados Unidos ha dejado en los últimos años en este país decenas de miles de muertos.

La Iniciativa Mérida, firmada en 2008 entre los presidentes Bush y Calderón  implica, según los acuerdos firmados, entrenamiento de las fuerzas militares mexicanas por parte de EEUU, la venta del armamento necesario y la estrategia militar para el control del Estado el sobrevuelo sobre todo el territorio de aviones espía no tripulados y la injerencia  de tropas de Washington en la seguridad interna del país.

En mayo de 2011 la creación de dos bases militares en la frontera con Guatemala.

Estas dos nuevas bases militares están situadas en Chiquimosuelo y Jiquipilas, por recomendación de la DEA. Esto sumado a los catorce mil militares ya existentes en Chiapas. La Defensa Nacional asegura que México está “ocupada” por los organismos de seguridad de EEUU.

Panamá: 12 bases aeronavales en ambas costas.

Sobre el Pacífico:
1) base Aérea y Naval Isla de Chapera
2) base Aérea y Naval Bahía o Puerto Piña en Darién
3) base Aérea y Naval Quebrada de Piedra en Chiriquí
4) base Aérea y Naval Rambala, en Bocas del Toro
5) base Aérea y Naval Punta Coco, en el Archipiélago de las Perlas;
6) base Aérea y Naval Isla Galera;
7) base Aérea y Naval Mensabé, en Los Santos;
8) Isla de Coiba, en Veraguas.

Sobre el Caribe:
9) base Aérea y Naval Sherman, en Colón
10) base Aérea y Naval El Porvenir, en Kuna Yala
11) base Aérea y Naval Puerto Obaldía, en Kuna Yala
12) base Aérea y Naval San Vicente, en Metetí, Prov. de Darién, cercana a la frontera con Colombia.

Además de las 12 bases antes enumeradas denuncias, sobre otras bases militares proyectadas (respecto a las cuales necesitamos más información) en:
La Palma (Pacífico), provincia de Darién;
Isla Grande (Caribe), provincia de Colón;
Yaviza, provincia de Darién y
Estación Naval Rodman (Pacífico) en la entrada del Canal de Panamá.

Paraguay: 2 bases Aérea

base Aérea En Mariscal Estigarribia, en el Chaco paraguayo, con instalaciones para albergar a varios miles de soldados y una pista de 3.800 metros de longitud. bases Aérea en  Pedro Juan Caballero (Base de la DEA estadounidense) en la frontera con Brasil.

Perú: 3 bases Aéreas y Naval
tres bases militares de EEUU
bases Aérea Iquitos,
bases Aérea Nanay y Santa Lucía. Sobre esta última ubicada sobre el Río Huallaga (Alto Huallaga) faltan precisiones e  información reciente.

 Base Naval. El gobierno peruano ha autorizado a EEUU el uso de instalaciones portuarias para aprovisionamiento de la IV Flota en cercanías del puerto de El Callao.

Por otra parte, en virtud de los acuerdos entre el Gobierno peruano y los Estados Unidos, a partir de 2006 ambos Estados incrementaron sus acciones de cooperación militar en el entendimiento común de que el “narcoterrorismo” constituye una “amenaza asimétrica” que justificaría la asistencia militar de Estados Unidos “sin condicionamientos”. 

República Dominicana: 1 base

base naval patrocinada por el Gobierno de EE.UU. en la isla de Saona, en el extremo sureste del país.

Puerto Rico

Puerto Rico es considerado por EEUU como un “Estado Libre Asociado”. La isla fue ocupada militarmente en 1898 como botín de guerra después de la independencia de Cuba.

 (Fuente: Guillermo Saavedra)


Intervenciones militares más recientes de EEUU en América latina (2015)

Independiente de la política contraria a los intereses de todos los países de la región, EEUU continúa interviniendo militarmente en la región. En 2015 aumentó su presencia militar en Honduras, Perú y México.

Honduras: Hace apenas una semana, el 1º de abril, la base militar Palmerola que opera EEUU en Honduras recibió una nueva unidad llamada Task Force for Special Purposes (“Fuerza de Tarea de Propósito Especial Aire-Tierra de Marines-Sur”). Según el sitio defensa.com, contará con 250 efectivos, al menos cuatro helicópteros pesados, un moderno catamarán de alta velocidad y otros medios y armas. La misma publicación agrega que la fuerza se utilizará para misiones de colaboración con países del área, de asistencia humanitaria y operaciones antidrogas.

La ‘unidad especial’ estará lista para entrar en operaciones en la región entre junio y noviembre de 2015. La base de Palmerola -a 86 kilómetros de la capital hondureña de Tegucigalpa- es considerada una de las más importantes de EEUU en la región y alberga a unos 500 soldados norteamericanos de manera permanente. La nueva ‘fuerza de tarea’ forma parte de la red que coordina el Comando Sur de Estados Unidos, cuya sede está en el sur de Florida. La víspera del anuncio del despliegue del nuevo contingente de EEUU en Honduras, el secretario general de la Unión de Naciones Suramericanas, Ernesto Samper, propuso eliminar las bases militares de ese país en la región. Las calificó como residuos de "la época de la Guerra Fría".

Perú: Washington incrementará el contingente militar a 3. 200 soldados. Según declaraciones oficiales, el aumento servirá para mejorar en la lucha conjunta con los soldados de la Marina peruana contra los insurgentes y narcotraficantes, informa Defensa.com. La información del Departamento de Defensa de EEUU dice que “las fuerzas peruanas se enfrentan regularmente con el grupo guerrillero Sendero Luminoso, y Lima ha manifestado que requiere de al menos 2.500 efectivos para redoblar la presencia policial en las zonas menos accesibles”.

Según el investigador principal del Instituto del Perú, Miguel Santillana, la iniciativa de EEUU se fundamenta en su interés por conservar su presencia militar en Sudamérica, a expensas del pueblo peruano. “Los norteamericanos tienen una presencia en Perú como en cualquier país de América Latina porque sienten que somos su zona de influencia. Ellos se sienten con el derecho de tener presencia oficial y no oficial en nuestro territorio”, dijo Santillana a la cadena Russia Today. El congreso peruano autorizó el ingreso de tropas extranjeras a territorio nacional el 29 de enero de 2015. Las tropas norteamericanas llegarán al Perú en tres etapas. El primer contingente, compuesto por 58 soldados, desembarcó en territorio peruano el pasado 1º de febrero, dos días después de recibir el permiso del Congreso. El segundo, formado por 67 soldados, llegó el  15 de marzo. El tercer contingente, en total 3.200 soldados norteamericanos, llegara el 1º setiembre de 2015.

México: A principios de 2015 México anunció que comprará aeronaves y vehículos militares de EEUU, por un monto de 1,441 millones de dólares, lo que representa la quinta parte del presupuesto anual de la defensa mexicana. La venta de vehículos y aeronaves, que fue autorizada por el Departamento de Estado, incluye 3,335 automotores todo terreno Humvee, a un costo de 556 millones de dólares. Se trata de casi el mismo número de vehículos que Afganistán adquirió en 2011. Además, se autorizó la compra de 23 helicópteros Blackhawk por un monto de 905 millones de dólares, así como la adquisición de un lote de aviones de entrenamiento Beechcraft T-6C Texan II por un monto de 480 millones de dólares, señala la Agencia de Cooperación en Defensa de Seguridad del Pentágono. Por el monto de las compras, México se ubica en el primer lugar de América Latina y el Caribe que realizan adquisiciones militares a Estados Unidos, según información de la Agencia y la Security Assistance Monitor.

Ventas de armas de EEUU a América latina 2005-2010

Entre 2005 y 2010 la venta de armas casi se duplicó. En 2005 EEUU vendía a los países de la región mil millones de dólares en armas. En 2010 la suma llegó a 1.7 mil millones de dólares. En el período señalado EEUU vendió un total de 9.2 mil millones de dólares a América latina. Cifras extraoficiales colocan las ventas de armas de EEUU a los países latinoamericanos entre 2011 y 2014 en otros 15 mil millones.

Ventas de armas de EEUU a América latina 2005-2010

 (en dólares)
2005  1,071,212,054
2006  1,435,276,238
2007  1,194,534,296
2008  1,921,083,254
2009  1,898,858,064
2010  1,726,581,395

TOTAL  9,247,545,301

Sólo México compró 3.2 mil millones de dólares en armas entre 2005 y 2010. Le siguió Colombia con 2 mil millones. Entre los dos países representaban la mitad de todas las ventas de EEUU en la región latinoamericana.

Según importancia, seguían Chile (1.2 millones) y Brasil (mil millones de dólares). Para completar los diez países que más armas le vendía EEUU en la región latinoamericana estaban Argentina (340 millones), Perú (260 millones), Rep. Dominicana (150 millones), Costa Rica (88 millones), Panamá (65.8 millones) y Venezuela (65.2 millones).

Costa Rica y Panamá no tienen ejércitos según sus respectivas Constituciones Políticas.                               


- Marco A. Gandásegui, hijo
 Profesor de Sociología de la Universidad de Panamá e investigador asociado del CELA

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Cumbre de los Pueblos, Universidad de Panamá, 10 de abril de 2015.
Mesa 1: “América Latina: Región de paz acosada por EEUU”
Coordinación: Marco A. Gandásegui, hijo


http://www.alainet.org/es/articulo/168896