giovedì 29 giugno 2017

Solidarietà Internazionale della FSM con Cuba / Solidaridad Internacional de la FSM con Cuba



17/06/2017

La Federazione Sindacale Mondiale, FSM, che è la voce militante di 92 milioni di lavoratori in 126 paesi in tutto il mondo, rifiuta nel modo più assoluto la decisione del governo imperialista degli Stati Uniti e del presidenteTrump di annullare l'accordo in vigore con Cuba.

Utilizzando parole antioperaie e reazionarie, il presidente degli Stati Uniti ha annunciato da Miami, la base dei criminali della mafia cubana, la cancellazione con effetto immediato dell'accordo tra USA e Cuba, contemporaneamente all'annuncio dell'intensificazione del blocco inaccettabile e criminale contro l'eroico popolo cubano. Inoltre, ha dichiarato ipocritamente la sua supposta preoccupazione per i"diritti umani" e in maniera provocatoria ha manifestato l'intenzione di utilizzare l'ambasciata statunitense a L'Avana come leva per "il cambiamento di rotta verso la libertà".

La FSM dichiara ancora una volta che le minacce degli imperialisti non passeranno! Per quanto minaccino i falchi dell'imperialismo statunitense e i suoi collaboratori mafiosi, non placheranno lo spirito di lotta del fiero e ribelle popolo cubano. Cuba non è sola: ha al suo fianco la voce della nostra grande famiglia sindacale, l'appoggio concreto del movimento sindacale internazionale di classe!

La Federazione Sindacale Mondiale chiama tutti i sindacati di classe in tutto il mondo a unire la voce nella campagna internazionale della FSM, rivendicando la fine del blocco inaccettabile ed inumano imposto contro Cuba. Allo stesso tempo, pretendiamo l'immediata restituzione del territorio di Guantánamo allo stato cubano. Ancora una volta ribadiamo il nostro appoggio incondizionato al diritto dei popoli a decidere da soli sul proprio presente e futuro, senza gli interventi assassini degli imperialisti.

Il popolo cubano vincerà!
Abbasso il blocco!
Restituzione del territorio di Guantánamo a Cuba, ora!



La Federación Sindical Mundial –FSM- que es la voz militante de 92 millones de trabajadores y trabajadoras en 126 países de todo elmundo, rechaza de la manera más rotunda la desición del gobierno imperialista de los EEUU y del presidente Trump de cancelar el acuerdo vigente con Cuba.
Utilizando palabras antilaborales y reaccionarias, el presidente de los EEUU afirmó desde Miami, la base de los criminales de la mafia cubana, la cancelación con efecto inmediato del acuerdo entre EEUU y Cuba, al mismo tiempo que anunció la intensificación del bloqueo inaceptable y criminal en contra del heroico pueblo cubano. Además, declaró con hipocresía que supuestamente se preocupa de los “derechos humanos” y de manera provocadora manifestó que utilizará la embajada estadounidense en La Habana como palanca para “el cambio rumbo a la libertad”.
La FSM declara otra vez másque ¡las amenazas de los imperialistas no pasarán! Por mucho que los halcones del imperialismo estadounidense y sus colaboradores mafiosos chantajeen, no quebrantarán el espíritu de lucha del orgulloso e insumiso pueblo cubano. Cuba no está sola; ¡tiene a su lado la voz de nuestra gran familia sindical, el apoyo práctico del movimiento sindical internacional de clase!
La Federación Sindical  Mundial llama a todos los sindicatos clasistas en todo el mundo a sumar su voz en la campaña internacional de la FSM, reivindicando el fin del bloqueo inaceptable e inhumano impuesto en contra de Cuba. Al mismo tiempo, solicitamos la devolución inmediata del territorio de Guantánamo al estado cubano. Otra vez más, reiteramos nuestro apoyo incondicional al derecho de los pueblos a decidir por sí solos sobre su presente y futuro, sin las intervenciones asesinas de los imperialistas.
¡El pueblo cubano vencerá!
¡Abajo el bloqueo!
¡Devolución del territorio de Guantánamo a Cuba ya!


 tratto da :
Federazione Sindacale Mondiale (FSM-WFTU) | wftucentral.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

IL PCI CONTRO I TENTATIVI GOLPISTI CONTRO MADURO E A FIANCO DEL POPOLO E DEL GOVERNO VENEZUELANO! - Comunicato del Dipartimento Esteri PCI

Pubblichiamo il comunicato redatto dal PCI in merito alla delicata situazione del  Venezuela Bolivariano, alle prese con un tentativo di Golpe da parte della destra fascista sostenuta dagli USA dei governi Europei Italia in prima linea. 



E’ la storia che si ripete, sempre uguale a se stessa: in America Latina, più è forte il cambiamento, più il cambiamento è del popolo e per il popolo, più determinata, feroce e sanguinaria è la risposta delle forze reazionarie, sollecitate ed organizzate dall’imperialismo USA. In queste ore, a Caracas, un elicottero rubato alla polizia venezuelana ha attaccato militarmente (sparando e lanciando granate) sia il Ministero degli Interni che la Corte Suprema. Nessun dubbio sulla natura politica dell’attacco: sull’elicottero era ben visibile uno striscione che recitava: “350 Libertad”, un riferimento all’articolo 350 della Costituzione bolivariana che le forze della destra venezuelana e l’Amministrazione Trump avversano con tutte le loro - poderose - forze, nell’obiettivo di far cadere Maduro e la rivoluzione “chavista”.
L’attacco militare delle forze reazionarie è, per ora, uno degli apici del lungo tentativo del grande capitale venezuelano, delle oligarchie venezuelane, dei padroni delle terre venezuelani, di riportare l’ordine liberista” in Venezuela, di riprivatizzare il petrolio, di riportare a Caracas la bandiera nord americana.

Dalla prima vittoria elettorale di Hugo Chavez (1998) e lungo tutti gli anni delle altre vittorie elettorali “chaviste” (2000, 2006, 2012) la  rabbia delle forze reazionarie e degli USA non si è mai placata e mai si è spenta l’idea di soluzioni fasciste e “golpiste” contro la Rivoluzione bolivariana. La nazionalizzazione del petrolio, le immense campagne di alfabetizzazione, gli investimenti massicci per le garanzie sociali - innanzitutto per la sanità pubblica - e una politica internazionale “chavista” incardinata sull’antimperialismo, sulla solidarietà ai popoli oppressi e alle lotte anticolonialiste, entro un progetto generale di unità  e integrazione bolivarista per tutta l’America Latina, tutto ciò ha fatto impazzire le forze reazionarie  venezuelane e gli USA, che si sono poste l’obiettivo primario di sconfiggere la Rivoluzione, di far cadere prima Chavez ed ora Maduro.
Già nell’aprile del 2001 i “golpisti” andarono vicinissimi alla vittoria, incarcerando Hugo Chavez, poi liberato dallo stesso popolo di Caracas.
Ora, anche approfittando della crisi economica, la destra reazionaria si scatena, nell’obiettivo del “golpe” finale contro Maduro.

Il Partito Comunista Italiano si schiera con tutte le sue forze e senza dubbi alcuni a fianco del governo legittimo, popolare, rivoluzionario, antimperialista e internazionalista del compagno Maduro, ricordando anche il ruolo immenso che il Venezuela bolivarista ha già svolto e svolge a favore di tutti i popoli e i governi antimperialisti e antiliberisti dell’America Latina. Ed è anche a partire da questa consapevolezza, a partire dal grande ruolo volto alla libertà dei popoli di tutta l’America Latina che il Venezuela ha già svolto e potrà svolgere, che il PCI ritiene e riterrà la difesa, anche con la forza, del governo rivoluzionario di Caracas un atto legittimo e rivoluzionario.  

mercoledì 28 giugno 2017

Cile e Venezuela: a 44 anni dal golpe fascista contro Allende



di Leandro Grille
(Caras y caretas – Uruguay)

Nicolas Maduro non è Salvador Allende. E non è nemmeno Hugo Chavez. Il Venezuela, inoltre, non è il Cile. E fin qui le affermazioni sono talmente triviali che potrebbero essere trascurate. Tuttavia, le similitudini tra la Rivoluzione Bolivariana e il Governo di Unità Popolare, guidato dall’indimenticabile presidente martire, sono enormi. E negarlo, disconoscerlo o eluderlo è la condizione necessaria per disinteressarsi e non comprendere un processo politico contemporaneo senza la necessità di rivedere vecchi amori ancora vigenti.
Mi propongo di esporre brevemente, entro i limiti della mia formazione, alcune chiavi di questo parallelismo, tenendo presente che non esistono processi storici e politici omologabili in senso profondo, tanto più quando avvengono in società e tempi differenti.
Storicamente il Venezuela ha avuto una economia basata sull’estrazione e commercializzazione delle sue enormi riserve petrolifere. Dal canto suo, il Cile, per decenni aveva basato la sua economia sullo sfruttamento del salnitro, sino al declino dell’industria seguito alla produzione del salnitro sintetico, dopo di che visse esclusivamente dell’estrazione e esportazione di rame che, al momento dell’arrivo di Salvador Alliende alla Presidenza, significava il 75% della produzione cilena e più del 30% del gettito fiscale. Entrambe erano economie estrattive fortemente dipendenti dal prezzo internazionale di una risorsa naturale prevalente.
Una prima grande similitudine tra il governo di UP e il progetto politico inizialmente guidato da Hugo Chávez fu la manifesta volontà di costruire una via democratica al socialismo in un paese del terzo mondo, ricorrendo alle urne e non alle armi. Questo proposito comune di risolvere in maniera pacifica le contraddizioni capitale-lavoro a favore degli sfruttati, mediante la costruzione di uno stato socialista per via elettorale, non ha ancora provato la sua fattibilità in nessuna parte del mondo, non ha precedenti.
Non è straordinario quindi che i due processi politici siano stati concentrati sulla vocazione socializzante della rendita prodotta nel settore economico principale, né può sorprendere che l’artificioso crollo del prezzo del rame tra l’anno 1971-73, per il Cile, e della caduta del prezzo del petrolio al barile a partire dall’anno 2014, per il Venezuela, abbiano avuto le conseguenze economiche devastanti che si sono verificate in entrambi i paesi.
La crisi economica del Cile di Salvador Allende fu tanto grave e tanto provocata dagli Stati Uniti quanto la crisi venezuelana. Appena Allende ottenne la presidenza del Cile, gli Stati Uniti, allora governati da Richard Nixon con il genocida Henry Kissinger a capo del dipartimento di stato, presero la decisione di destituirlo e a tal fine orchestrarono un piano, conosciuto come Fubelt: per distruggere l’economia cilena, radiarla dal mondo e provocare un colpo di stato che avrebbe abbattuto quel governo marxista considerato una minaccia per propri interessi.
Le prove di queste azioni sono state svelate dopo 25 anni, dopo aver levato il segreto ai relativi documenti, ma ciò era già evidente a qualsiasi osservatore che non fosse politicamente ingenuo o complice. Se il primo anno di Allende aveva significato un sostanziale miglioramento nelle capacità di acquisto della popolazione, crescita economica, espansione dei diritti, spinta alle politiche pubbliche di avanzata, gli anni successivi, caratterizzati da una guerra economica interna e esterna condotta dagli Stati Uniti e eseguita dai settori più potenti del Cile e i suoi relativi media, più la brusca – ed eterodiretta –  caduta del prezzo internazionale del rame in seguito alla nazionalizzazione del 1971, segnarono un crollo dell’economia, due anni consecutivi di caduta del prodotto interno lordo, deterioramento dei salari reali e iper-inflazione, che negli ultimi due anni del governo Allende arrivò ad essere la più alta del mondo, superando il 600%.
La politica di controllo dei prezzi applicata dal governo per contenere l’inflazione è perfettamente paragonabile alla legge venezuelana del giusto prezzo, e uguale la riposta del potere economico: destabilizzazione e accaparramento. I cileni dovevano fare code di vari isolati per ottenere i prodotti fondamentali a prezzi regolati o pagare prezzi tremendamente alti al mercato nero, dove si eludeva il controllo statale. Lo stesso succede oggi in Venezuela. E alla scarsità indotta la risposta del governo venezuelano è identica a quella che diede il governo di UP: Allende creò la JAP (Juntas de Abastecimiento y Control de Precios), Maduro ha creato i Clap (Comité Locales de Abastecimiento y Producion) che forse hanno funzionato meglio delle Jap, tra le altre cose perché, evidentemente, le autorità venezuelane hanno analizzato quell’esperienza e hanno fatto il possibile perché, a differenza della JAP cilena, i Clap non fossero sabotati e perseguitati.
Il malcontento sociale venezuelano degli ultimi anni e quello cileno all’epoca di Allende, causato dalla guerra economica e dalle sue dure conseguenze sulla vita dei cileni, sono ugualmente comparabili. Nelle elezioni parlamentari del 1973, la Confederazione per la Democrazia (CODE, la versione cilena dell’attuale Mesa de la Unidad Democratica che raggruppa la destra venezuelana), ottenne il 56% dei voti, contro il 43% ottenuto dall’Unità Popular di Salvador Allende, ottenendo la maggioranza dei seggi, con proporzioni che sono simili alle elezioni dell’Assemblea Nazionale, che ha perso il chavismo a causa di una crisi identica, perché nel 2015 la MUD venezuelana ottenne il 56% dei voti contro il 41% del Partido Socialista Unido de Venezuela.
Che fece Allende con un Parlamento all’opposizione? L’opposizione cilena riunita della CODE voleva i 2/3 del parlamento per poter accusare e, eventualmente, destituire Allende, come è stato fatto da poco con Dilma, e come hanno tentato di fare con Maduro. Non riuscirono ad arrivare a tanto. Però controllavano il parlamento, e l’opposizione cilena tentò di usare la sua maggioranza amplia per promuovere una riforma costituzionale conosciuta come il progetto Hamilton- Fuentealba che tentò di fermare la politica socialista e di statalizzazioni di Salvador Allende. Allende pose il veto al progetto e per questo fu accusato di calpestare la legalità e passare sopra al potere legislativo. Termini simili sono stati utilizzati per accusare Nicolás Maduro e l’odio politico delle classi medio alte si espresse per le strade, con mobilitazioni sempre più violente, e anche massive, a cui partecipavano anche studenti universitari – non furono solo i camionisti – e ingenti settori sociali, tra cui settori medi e professionali, come medici, dentisti, avvocati e commercianti. Con Allende si scaldarono le strade, non si ebbero 60 morti, ma più di 100, e per questo venne accusato di essere un assassino, un tiranno, e molto altro. Nel frattempo, i settori alleati della borghesia promuovevano il colpo di stato, si concentravano alle porte delle caserme e partecipavano alle cospirazioni. Se in questi giorni la procura generale del Venezuela si è piegata all’opposizione, allo stesso modo si era piegata la Corte dei Conti in Cile quando Allende venne accusato di disconoscere la Costituzione per aver posto il veto sul progetto degli oppositori di destra, che si proponeva di impedire l’espropriazione delle terre e l’intervento nel commercio e nel settore dei trasporti.
Perché molti credono che Salvador Allende fosse un uomo democratico, pacifico e il suo governo un esempio indimenticabile mentre, contemporaneamente si permettono di denigrare il progetto bolivariano? Non è un caso di incoerenza? Fino ad ora l’unica differenza è l’esito. Salvador Allende fu vittima di un colpo di stato a cui resistette con la propria stessa vita, mentre il governo venezuelano ancora non è stato abbattuto, neanche da un colpo di stato, anche se questa strada è stata tentata. Il Venezuela si difende come può. Hugo Chávez lo aveva detto: a differenza di quella cilena, la nostra non è una rivoluzione disarmata. Fidel lo aveva anticipato a Salvador Allende, nel suo discorso di commiato nello Stadio Nazionale, alla fine di un viaggio di tre settimane in Cile, nel dicembre 1971. Dopo aver visto l’esperienza – l’unica nella storia – della costruzione del socialismo per via pacifica, avvertì il popolo del Cile che la violenza è inesorabile, perché la destra l’avrebbe imposta. “Tornerò a Cuba più rivoluzionario di prima! Tornerò a Cuba più radicale di prima! Tornerò a Cuba più estremista di prima!”. 
Quanto sta accadendo in Venezuela non è una novità in America Latina. Né l’atteggiamento dell’Osa lo è. Né la violenza lo è. Né le menzogne dei media. Né la mano nera degli Stati Uniti. Né la pianificazione della scarsità di beni. Né l’accaparramento criminale. Né le gigantesche code, né l’inflazione astronomica, né il mercato nero, né il controllo dei prezzi, né i CLAP, né le sconfitte elettorali all’interno di crisi eterodirette, né il crollo spaventoso del prezzo della risorsa principale, né le manifestazioni delle classi medie e alte. Né le accuse di incostituzionalità. Né quelle di dispotismo e tirannia. Perché quanto sta succedendo è organizzato dalle stesse forze, con lo stesso obiettivo di 44 anni fa. E’ perpetrato contro le stesse forze. Sono soltanto stati aggiornati i metodi, perché come disse Fidel quel giorno, allo stadio nazionale del Cile, la destra impara prima del popolo umile. Però anche il popolo umile impara. E poiché adesso è difficile che compaia un Pinochet in Venezuela, allora la destra chiede l’intervento internazionale. Anche in Cile si preparava una guerra civile. Di questo si parlava nel 1973. Per me, sostanzialmente non vi è nulla di diverso. Non è nemmeno diverso chi non vuole che si sviluppi la Rivoluzione Venezuelana. Né è diversa la destra che vi si oppone.

Ché le lenti di Salvador Allende non si spezzino di nuovo.

[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Clara Statello]

Il C.lo Bolivariano Alessio Martelli Piombino (LI)
A tratto il post da  :



giovedì 15 giugno 2017

Libertà per i prigionieri politici Saharawi detenuti nelle carceri marocchine / Freedom for the Sahrawi political prisoners in Moroccan prisons


08/06/2017

Dando notizia dell'annunciata prosecuzione, a Rabat, in Marocco, il 5 giugno, del processo a un gruppo di prigionieri saharawi nelle carceri marocchine - noto come il gruppo Gdeim Izik - il Consiglio Portoghese per la Pace e la Cooperazione (CPPC) ribadisce il suo ripudio di questo processo politico, la richiesta di liberazione di questi attivisti e la sua solidarietà al popolo Saharawi.

Ricordiamo che il processo delle autorità del Regno del Marocco contro questo gruppo risale agli avvenimenti del novembre 2010, quando migliaia di saharawi residenti nel Sahara Occidentale, occupato illegalmente dal Marocco, hanno deciso di istituire un campo a Gdeim Izik, a 15 chilometri da El Aaiún [capitale del Sahara Occidentale, ndt], come mezzo di lotta per il rispetto dei diritti umani del popolo Saharawi dal Marocco, la forza occupante. L'esercito e la polizia marocchini invasero e reprimettero violentemente il campo.

Molti attivisti saharawi furono arrestati. Tra questi, 24 vennero accusati di aver organizzato la manifestazione e fatti oggetto di maltrattamenti e abusi da parte delle autorità marocchine. Dopo 3 anni di carcere, sono stati condannati da un tribunale militare nel febbraio 2013, in un processo denunciato e dichiarato nullo da diversi enti internazionali, tra cui ricordiamo la relazione del gruppo di lavoro per le detenzioni arbitrarie delle Nazioni Unite e la deliberazione della Commissione ONU contro la tortura del dicembre 2016. Dopo una grande pressione internazionale, questo processo è stato annullato dalla Corte Suprema di Giustizia del Marocco.

Nel marzo di quest'anno, in solidarietà con i prigionieri politici Saharawi nelle carceri marocchine, il CPPC ha inviato delle lettere al Segretario generale dell'ONU, António Guterres, e al Vicepresidente della Commissione europea e Alto rappresentante dell'Unione europea per gli Affari esteri e le Politiche di sicurezza, Federica Mogherini.

Il rifiuto mostrato e persistente da parte delle autorità del Regno del Marocco di rispettare i diritti dei prigionieri politici saharawi e delle convenzioni delle Nazioni Unite è motivo di grande preoccupazione per il CPPC e merita una chiara condanna. Il CPPC ribadisce la sua solidarietà con la giusta causa del popolo Saharawi per il diritto all'autodeterminazione e all'indipendenza e la richiesta che il Regno del Marocco, la forza occupante, adempia le decisioni delle Nazioni Unite.

Consiglio Portoghese per la Pace e la Cooperazione, Consiglio Mondiale della Pace | wpc-in.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare




Freedom for the Sahrawi political prisoners in Moroccan prisons
Given the announced continuation, in Rabat, Morocco, on June 5th, of the trial of a group of Sahrawi prisoners in Moroccan prisons — known as the Gdeim Izik group —, the Portuguese Council for Peace and Cooperation (CPPC) reaffirms its repudiation for this political trial, the demand for the release of these activists and its solidarity with the Sahrawi people.
We recall that the process by the authorities of the Kingdom of Morocco against this group dates to the events of November 2010, when thousands of Sahrawis residing in Western Sahara, illegally occupied by Morocco, decided to establish a camp in Gdeim Izik, 15 kilometers from El Asiún, as a means of struggle for the respect of the human rights of the Sahrawi people by Morocco, the occupying force.
The Moroccan army and police invaded and violently repressed the camp. Many Sahrawi activists were arrested. Among them, 24 were accused of having organized the demonstration, having been subject to ill treatment and abuse by the Moroccan authorities. After 3 years in prison, they were condemned in a military court on February 2013, in a trial denounced and considered null by several international entities, including the report of the working group for arbitrary detentions of the United Nations and the decision of the UN Committee against Torture of December 2016. After large international pressure, this trial was annulled by the Supreme Court of Justice of Morocco.
In march of this year, in solidarity with the Sahrawi political prisoners in Moroccan prisons, CPPC sent letters to the UN General Secretary, António Gueterres, and the Vice-President of the European Commission and High Representative of the European Union for Foreign Affairs and Security Policy, Frederica Mogherini.
The demonstrated and persistent refusal by the authorities of the Kingdom of Morocco to respect the rights of the Sahrawi political prisoners and the UN conventions are a motive of great concern for CPPC and deserve clear condemnation.
CPPC reaffirms its solidarity with the just cause of the Sahrawi people for their right to self-determination and independence, and for their demand that the Kingdom of Morocco, the occupying force, fulfill the UN decisions.
CPPC National Leadership